Venezia, Aprile 2014 |
Venezia, Aprile 2014 |
Lo scorso lungo ponte di fine settimana mi sono regalata un
piccolissimo stacco a Venezia, attratta anche da tre mostre di fotografia.
C’ero stata l’anno scorso, in questa stessa città, ma quel che è buffo è che
casualmente si trattava dello stesso periodo (il 27 aprile 2013) e per un’altra
bella mostra di fotografia.
Venezia, Aprile 2014 |
E sarà perché in questo momento della mia vita sto ragionando proprio
sul tempo, sul legame tra ricordi e desideri, sul fatto che i secondi non
sarebbero se non originassero dai primi… Sarà per questo che il tempo mi è
sembrato la liaison quasi naturale anche tra le tre mostre di fotografia che ho
visitato, in una città che di per sé, per quanto ci torni e ritorni, sembra una
specie di mostra a cielo aperto sempre diversa.
Venezia, Aprile 2014 |
Le foto di Sebastião Salgado (qui il link al sito ufficiale) sono
bellissime, amplificative e hanno bisogno del silenzio perché sia possibile
entrarci dentro. Ci mostrano terre e viventi lontani dalla nostra quotidianità,
eppure non suscitano alcuna riflessione sull’esotico, ma ci accompagnano,
invece, in un viaggio dentro di noi, alla ricerca dei ricordi più arcaici.
Anzi, dei non ancora ricordi, ma delle rozze e appena abbozzate tracce mnestiche di tipo
sensoriale.
Guardare quelle foto significa, non so per quale strana magia,
percepire il freddo o il caldo degli ambienti rappresentati, carezzare la
sabbia o sfarinare la neve, essere avvolti dai fruscii misteriosi della foresta
amazzonica nel momento che precede un temporale; come nelle notti bambine nelle
quali guardavamo le ombre del soffitto della camera e pensavamo al giorno dopo
e ai giochi al sole.
Venezia, Aprile 2014 |
Venezia, Aprile 2014 |
La mostra si intitola "Genesi" e in effetti è proprio
all’origine che si pensa attraversando le sale del palazzo dei Tre Oci e alternando
lo sguardo sulle opere in mostra a quello gettato fuori, verso la laguna e i
suoi palazzi, dal bianco e nero delle foto agli azzurri smaltati, ai verdi
cangianti, al bianco sontuoso, all’argento e all’oro giocosi della città.
Guardando dentro ci ricordiamo di ciò che abbiamo ricevuto in dono dalla madre
terra, mentre volgendo lo sguardo fuori pensiamo a tutto ciò che abbiamo costruito con le
nostre mani, all’utile che non è mai disgiunto nella nostra creatività dall’inutile che dà senso e colori alla vita.
Venezia, Aprile 2014 |
Venezia, 27 Aprile 2013 |
In un’intervista Salgado definisce questa sua raccolta
decennale di scatti, spesso difficili, realizzati a bordo di una mongolfiera,
come una lettera d’amore alla terra. Io aggiungerei che potremmo intenderla anche come un invito a ricordarcene
l’etimo, humus, che ci rimanda al significato non servile, ma carnale e umano,
dell’umiltà.
E’ l’amore per la natura, quello che ci coinvolge della mostra, ma anche il richiamo allusivo alla ricerca delle nostre radici arcaiche, dell'indifferenziato originario del quale,
piccolissimi, anche noi facevamo parte, sentendoci una cosa sola con il nostro
corpo o con quello di chi ci rassicurava con le sue carezze, avvolgendoci di
abbracci e di nenie.
Venezia, Aprile 2014 |
Il tempo è il legame che si stabilisce tra i ricordi e
i desideri. E non ci potrebbero essere i secondi senza i primi. Un desiderio
trova infatti senso nell’attesa perché è legato al ripensamento emotivo, in gran
parte inconsapevole, dei nostri paradisi perduti. Il tempo è anche il legame con la
terra, circolare come il segno grafico che delinea un abbraccio o la fusione
legata a un bacio.
Venezia, Aprile 2014 |
Con la seconda mostra (qui il link), incentrata sulla figura di Dora Maar nonostante Picasso (come recita il titolo) e accompagnata da un’altra esposizione di opere di fotografe, si aprono diversi scenari; eppure anche in questo caso sono sollecitata a pensare al tempo. Forse perché lei è oggetto della
fotografia di altri e anche artefice delle proprie e la lei/soggetto con la lei/oggetto
si alternano continuamente nelle sale di un palazzo particolare. Un palazzo che è di per sé già un'altra mostra e dove respiri il brivido di un passato che sembra un qui e ora, e ti
viene voglia di saperne di più di quanto è stato sussurrato o urlato in queste
stanze, della tazza di caffè, del drappo di stoffa, delle piccole o grandi
emozioni di chi in queste sale ha vissuto e le ha attraversate nel tempo. Forse se ripenso al tempo è anche per questa ibridazione
tra epoche diverse, comprese quelle relative alle opere della collezione
stabile. Alcune sono di Mariano Fortuny padre, altre di Mariano Fortuny figlio e non sai mai con certezza
a chi dei due appartengano e devi continuamente calcolarlo con le date di
nascita e morte dell’uno e dell’altro.
Il calcolo diventa un gioco, è il gioco
del tempo, e anche questo, allora, è un involontario percorso possibile della
mostra: il tempo che rapisce e riconsegna; il tempo che a volte riconsegna i colori, i
palpiti del cuore e le gioie anche quando sembrano ormai appartenere a
dimensioni perdute. Di nuovo si pensa all’origine, al desiderio di fusione con
la natura o in un abbraccio lasciandosi avvolgere da un odore, e al bellissimo ritmo che si può creare tra attesa e condivisione che è poi quello della vita stessa.
Venezia, Aprile 2014 |
Venezia, Aprile 2014 |
La mostra su Irving Penn è l’ultima visitata ed è
quella che mi ha stimolato di più. Ecco il link al sito ufficiale. Anche qui è il tempo - o così mi pare, ma ormai
non sono più tanto oggettiva - il filo rosso che lega le foto dei personaggi
famosi, certi del proprio benessere, ai dignitosi rappresentanti, nella metà del XX secolo, di umili
mestieri scomparsi, di specializzazioni artigianali che si fa fatica a riconoscere e capire. Hanno la testa
eretta, i secondi, e forse il loro sguardo è più fiero di quello dei primi.
C’è
l’orgoglio di un mestiere, di un lavoro del quale si è insostituibili
specialisti e che dona dignità e senso all’esistenza. Qualcosa di cui non ci
ricordiamo più oggi che il lavoro è un lusso e che il mestiere è ritornato a essere mera serialità; oggi che l’artigiano che apprende dall’esperienza di altri e dalla propria è considerato alla guisa di una figura anacronistica di servo.
Passeggiando nelle sale di quest’ultima mostra ripenso
a come sia sciocco considerare la fotografia una non arte perché riprodurrebbe
l’esistente. Qui si respira bene come la fotografia sia invece arte , cioè interpretazione del mondo e non semplice tecnica imitativa.
La foto è di Irving Penn |
La foto è di Irving Penn |
La foto è di Irving Penn |
La foto è di Irving Penn |
La foto è di Irving Penn |
Con la persona che ha condiviso con me queste visite a un certo punto ci siamo messi a parlare del bianco e nero in fotografia e del perché oggi che si possono usare foto a colori un fotografo opti per questa prima e più antica soluzione, un tempo obbligata. Forse una possibile risposta è che il bianco e nero fa
sognare di più perché è qualcosa di incompiuto o di irrisolto e perciò ci rende
più coinvolti. E' un'interpretazione della realtà priva dell'aspetto più forte,
quello cromatico, e per questo lascia spazio alla possibilità di colorarla
secondo il nostro piacere e la nostra
fantasia. E quindi, in fondo – mi dico ora – tutto questo fine settimana a Venezia ha a che fare con il vestito
colore del tempo di Cenerentola. Ed è un po’ come se a vedere quelle mostre mi
avesse accompagnato anche mia nonna. Quante cose avevo da raccontarle,
infatti!
Venezia, Aprile 2014 |
Nessun commento:
Posta un commento
Scrivere in un blog è come chiudere un messaggio in una bottiglia e affidarla alle onde. Per questo i commenti sono importanti. Sono il segno che qualcuno quel messaggio lo ha raccolto. Grazie in anticipo per chi avrà voglia di scrivere qui, anche solo e semplicemente per esprimere la propria sintonia emotiva.