mercoledì 22 febbraio 2017

La musica è un viaggio


Vi chiederete perché e cosa c'entra. Rispondo che una gattina ci sta sempre bene. E poi, questa, è anche musicofila e il CD l'ha ascoltato insieme a me. (Due volte).
Chi mi ha regalato il CD, ieri sera, prima del bel concerto di Brunello e Lucchesini (qui), mi ha raccomandato di ascoltarlo due volte, per familiarizzare. E così ho fatto, anche se sono da sempre convinta che ascoltare musica sia un po’ come mettersi in viaggio e non avrebbe senso viaggiare per cercare il già noto, i luoghi familiari in quelli da scoprire, la rassicurazione dell’abitudine invece della gioia inquieta che nasce dalla scoperta. Il CD (vedi qui) è molto bello e corona venti anni di attività di "Sentieri selavaggi" , ensemble che si batte con energia e determinazione per fare conoscere la musica contemporanea.

Sentieri selvaggi
Si sono esibiti anche a Pisa; l’ultima volta un mese fa, con il loro consueto modo non formale di suonare e parlare di suoni nello stesso tempo; non affidando solo alla freddezza di un depliant la presentazione del programma, ma alla voce viva e alle sue vibrazioni; e intercalando presentazione e brani, anziché separare nettamente, come di solito si fa, il momento sonoro da quello riflessivo, l’emozione dal ragionamento.


Museo degli strumenti musicali - Berlino 2009
La musica, in fondo, è un dialogo tra passato e futuro, tra timbri diversi, tra suoni e silenzi, tra suono e voce, tra suono e movimento e corpo, ma anche, e soprattutto, tra persone. 

Museo degli strumenti musicali - Berlino 2009

lunedì 20 febbraio 2017

Se


Se. Quante volte questa piccola, insidiosa sillaba, ci ha tormentato, ripensando a una qualche esperienza dolorosa o amara! Se avessi parlato, se avessi detto le parole che sono rimaste sospese, allora, chissà.


Oppure, se non avessi parlato, se avessi impedito alle parole che feriscono di uscire dalle mie labbra…E se quella volta avessi perdonato, se avessi aperto la porta…



E se quell’altra volta l’avessi chiusa, se non fossi uscita; e se fossi invece rimasta a casa; se avessi scritto una lettera; se avessi telefonato… Ci tormentiamo, ci ripensiamo, a volte anche a distanza di anni. 

Se.


Succede di sentirsi colpevoli anche quando è il destino che si è accanito su di noi con crudeltà. Cerchiamo il piccolo gesto sbagliato, la parola di troppo o che è mancata e attribuiamo a noi stessi un potere sulla nostra vita tanto più grande di quello che abbiamo. E così ci viene in mente che potremmo trovare sollievo nella punizione e ce la diamo da soli, attraverso la rinuncia alle gioie, piccole o grandi, che potremmo ancora provare.


Un pugno rabbioso nel vetro della finestra, la mano ferita, e poi il volto, il sangue, il dolore. Perché il dolore fisico, a volte, serve proprio per scacciare quello molto più insopportabile che viene da dentro, che ha la trasparenza del ghiaccio che tutto iberna e conserva inalterato; il ghiaccio della non vita. 
E’ un film molto bello, che ti regala un bisogno prepotente di silenzio e per questo, forse, non riesco a scriverne più di così.


Non sono tanto le parole che ci lasciano una traccia intensa dentro, quanto le immagini, i volti, la smorfia delle labbra, l’abisso dello sguardo soffuso di una tristezza senza consolazione possibile e l’immensa distesa marina, indifferente come quella della neve; e poi la colonna sonora che ibrida le musiche originali di Lesley Barber con quelle di Bob Dylan, di Ray Charles e di Haendel, e ti fa uscire stranita nella notte tanto che ti pare di non riconoscere nemmeno, nel rumore che ritma il tuo ritorno, l’eco dei tuoi passi sul ponte e poi nella strada consueta.


sabato 11 febbraio 2017

Due soli


Nello specchio c'è Blu, ma per vedere Blu in carne e ossa devo voltarmi. Così accade per il nostro dentro che non sai mai quale sia l'immagine riflessa come in uno specchio o i sentimenti reali che provi. E' una calma mattina di sole, ma devo passarla a casa a scrivere; nel mio lavoro l'articolazione del tempo è particolare e c'è una sorta di continuità con la casa mentre l'idea di fine settimana o di festa può anche identificarsi con momenti di più intensa applicazione.





Dunque sono qui, spostandomi con il computer fra tavolo e divano, con la musica che mi avvolge e i raggi di sole che comunque mi scaldano raggiungendomi attraverso le ampie finestre in mezzo alle quali è collocato il mio tavolo. 



Vicino ci sono i due gatti che sonnecchiano e si stirano, anche loro in un punto di sole, come se un grande cono di luce di scena li dovesse incorniciare. Stasera mi rilasserò a teatro con della buona musica e con questa prospettiva, anche il non uscire non mi è pesante. Insomma, è una buona giornata o così mi sembra. Ogni tanto, però, la serenità assolata e calma di questo sabato casalingo viene ferita da una fitta di nostalgia. 



Penso a come sarebbe questo sole passeggiando al mio paese e a come sarebbe entrare in una casa dove ora non abita più nessuno e che era stata piena di voci e a come sarebbe controllare i primi indizi della prossima primavera nelle strisce di terra davanti e dietro e a come sarebbe sentire i profumi invitanti del pranzo condiviso con tante persone care. So che bisogna accogliere la nostalgia, quando viene, anche se lì per lì fa soffrire e sembra quasi rovinare un quadro senza apparenti stonature nel quale persino il ronzio della lavatrice suona rassicurante e poi il profumo della biancheria lavata e poi la tovaglia da stendere e il cibo calmo del fine settimana. 



La nostalgia, in fondo, è proprio ciò che ci dà la speranza di nuove gioie. Perché le gioie che verranno, se verranno, non sono che il ripresentarsi con mutate vesti di altre che abbiamo vissuto e mai smesso di desiderare ancora e ancora. Mi dico che oggi c'è un sole alto nel cielo e uno profondo, dentro di me, che mi scaldano insieme e il primo non potrei apprezzarlo se non lasciassi spazio al secondo anche quando, come in questo momento, mi fa un po' male.