giovedì 31 ottobre 2013

Cartine di tornasole psichiche


Com’è diverso il funzionamento della dimensione psichica da quello biologico e chimico! La mia maestra delle elementari ci faceva giocare con le cartine di tornasole. Ho un ricordo un po’ vago di piccole striscette gialle, ma può darsi che dato il tempo intercorso mi inganni sulla loro forma o colore. Ecco: la psiche se ne crea spesso di queste cartine metaforiche e quando ci resta difficile accettare una verità che ci fa male o cambiare una valutazione su qualcuno ci diciamo che la tale circostanza ci darà la prova irrefutabile di un’ipotesi. Il fatto è che quando poi abbiamo la conferma non ce ne stupiamo per nulla e ci rendiamo conto che quell’ipotesi, dal momento che l’abbiamo formulata, era già una realtà.

L’albero della vita (Gustav Klimt, 1905-1909)
No, la psiche e la conoscenza emozionale che la riguarda, non funzionano affatto secondo criteri chimici o propri della fisica, anche se risulta molto rassicurante crederlo, perché si pensa di poter controllare tutto. (Pensieri scaturiti da una cartina di tornasole metaforica che mi ero procurata in fantasia e che ha solo confermato qualcosa che già sapevo benissimo).
No, la nostra psiche non funziona secondo un ordine logico, in base alle leggi della chimica o della fisica o della biologia, ma secondo un disordine analogico. 



mercoledì 30 ottobre 2013

Mi sono smarrita molte volte


Non è il mio primo libro perché scrivere in relazione a quanto si studia è uno dei doveri della mia professione; anche se degli altri ne ho presentato uno soltanto, prima di questo, non so per quale reticenza o strano pudore.
Ho scelto un luogo familiare e raccolto, Il museo della Grafica, nel quale sono di casa da diverso tempo perché mi occupo di educazione in senso lato e in riferimento a ogni fascia di età. E ho scelto persone adatte per le cose delle quali loro stessi si occupano, ma che sono anche legate a me da consonanza di visione del mondo e amicizia.
Sono un po’ emozionata per il fatto che questo è un libro particolare, con molti impliciti autobiografici dei quali, ovviamente, nel testo non si parla perché è un testo di studio. 
Mia madre da giovane, a Volterra.

E’ un libro particolare perché l’ho portato a termine in un periodo per me difficile, duro, segnato da perdite dolorose a partire da quella di mia madre, alla quale, infatti, è dedicato. E’ un libro particolare anche per l’argomento, che riguarda un po’ il filo rosso, il colore dominante della mia vita intera. Mi sono smarrita molte volte, in un certo senso felicemente, anche quando il motivo era un motivo di dolore. So da tempo immemorabile, da quando ero molto piccola, che per essere forti bisogna attraversare il vuoto, non negarlo o riempirlo con oggetti e relazioni superficiali e di consumo. Da altrettanto tempo so anche che per non diventare durezza la forza ha bisogno di dialogare con la sensibilità e che per restare sensibili bisogna attraversare la pena acuta della mancanza e preparare una dimora dentro di noi alle persone e alle cose perdute.




Dentro di noi possiamo infatti collocare il posto delle fragole, la voce che ci cantava la ninnanna e che non riusciamo più a ricordare; perché i volti è facile ricrearli nella mente, ma le voci si rarefanno prima e inesorabilmente e per quanti sforzi facciamo non le ritroviamo più così com’erano…Mi sono smarrita molte volte, consapevole dei rischi che correvo. 



Amanti, autore sconosciuto, 1910




E mi è capitato di smarrirmi nello sguardo di un altro, per provare la gioia di innamorarmi o quella, unica, di stringere tra le braccia un minuscolo essere e attaccarmelo al seno non riconoscendomi più, non sapendo più se ero proprio io quella che dopo averlo fatto nascere lo teneva in braccio nell'ascensore della clinica, di notte, per portarlo con sé al piano di sotto e passare il resto di quelle ore azzurre di maggio a guardarlo smarrita e con lui la meraviglia della vita, di una nuova vita che avrebbe cambiato la mia. 

Mi sono smarrita molte volte nella nostalgia per il passato e nei desideri legati al futuro, agli incontri, alla bellezza della natura, dell’arte, della poesia e della musica che mi avvolge come una coltre delicata e resistente in ogni momento delle mia giornata, consolandomi o esaltando le mie gioie. E vorrei che lasciassimo anche ai nostri bambini, che sono più forti di quanto non pensiamo, il diritto di smarrirsi, che loro reclamano attraverso tutte le favole che mostrano di amare.

Cominciano quasi tutte così: una strada nel bosco, rumori di paura, la notte e il freddo dell’abbandono e poi l’alba, con le sue rosee dita, a segnare l’orizzonte…
L'alba da casa mia
Il link alla pagina della casa editrice, con l’indice e l’introduzione: Indice & Introduzione


martedì 29 ottobre 2013

Perché l'omofobia?

Due giorni fa un altro ragazzo, a Roma, in quest'anno non ancora finito, si è gettato nel vuoto per la disperazione di dover vivere in una cornice sociale contrassegnata da sentimenti e comportamenti omofobi.


Sono eterosessuale, eppure sento che tutto questo mi riguarda profondamente. L'omofobia, infatti, rende il mondo più brutto per tutti trasformandoci in gregge, in cloni, in esseri seriali, conformisti e codardi perché definiti dal timore di una differenza che riusciamo a leggere solo come disconferma.

Saffo

Sono convinta che il modo migliore di combattere il pregiudizio, gli atti di discriminazione e quelli di violenza psichica e fisica nei confronti delle persone omosessuali, consista nel progettare percorsi di educazione preventiva. Non si tratta solo di fornire conoscenze, di sfatare pregiudizi o, peggio, di invitare a un atteggiamento genericamente tollerante: anzi, si tratta di criticare il concetto stesso di tolleranza in favore di quello di accettazione delle differenze. La tolleranza, infatti, si lega alla sopportazione, non all’apprezzamento dell’altro nella sua diversità. Nel tollerare si sottolinea la propria distanza. Si tollera un elemento definito come diverso e negativo; ma lo si fa fino a un determinato limite, oltre il quale si comincia a odiare e si procede all’eliminazione fisica o simbolica.

Achille e Patroclo - Jacopo Camagni
Lo si capisce bene spingendosi a ritroso nel tempo, quando i sentimenti di tolleranza potevano riguardare coloro che professavano altre religioni, come i pagani o i musulmani o anche gli ebrei, che non ne avevano colpa non avendo potuto scegliere la propria cornice di esistenza. Non poteva riguardare, però, gli eretici o i cattolici che si allontanavano dalla fede. Per loro c’era, invece, l’inquisizione e quasi sempre il rogo. 
Cercare le differenze, così come è implicito nel concetto di tolleranza, significa avere paura di riconoscere le affinità: tra chi è malato o folle e chi si ritiene sano; tra chi è delinquente e chi si ritiene onesto; tra chi è invidioso o cinico e chi definisce se stesso come generoso ed eticamente irreprensibile. 
Inoltre, vedere la differenza come una colpa o una minaccia rende possibile sollevare se stessi da qualsiasi responsabilità. Serve per proteggersi rispetto alla propria scarsa autostima; o per proiettare sull’altro, com'è tipico del razzismo, le parti di sé considerate disdicevoli e relegate nelle zone d’ombra della propria interiorità. E’ più semplice e psichicamente meno oneroso cercare l’altro fuori di sé, sottolineando le differenze, anziché comprenderlo in se stessi, sottolineando le somiglianze.

Henry de Toulouse-Lautrec, Il letto, 1892
Accettare l'altro significa, invece, ricercare e sottolineare gli aspetti comuni. Solo liberandoci dal timore delle differenze potremo vivere maggiori e più significative occasioni di felicità condivisa.
(Qui il link all'intervista della madre del ragazzino gay di 15 anni che si era suicidato lo scorso anno, impiccandosi)

Della gioia e del dolore

Prendo spunto da una bella canzone di Sandro Luporini e Giulio D’Agnello per parlare della gioia e del dolore. Per un caso riguarda proprio l‘argomento che ho trattato ieri a lezione e sul quale continuo oggi, perciò, dato che nella mia aula c’è il telo da proiezione grande, stamani la farò ascoltare attraverso youtube ai miei 130 e più studenti. 
L’ansia in eccesso che ci fa stare davvero e sterilmente male è legata proprio al tentativo di negare il dolore esercitando un controllo eccessivo sulla nostra vita. Viviamo nell’epoca ipocrita e superficiale che censura tutte le ombre e cerca di anestetizzare il dolore e i luoghi che ce lo ricordano. Bisogna mostrarsi felici (e produttivi) perché il dolore è identificato con la debolezza e con l’insuccesso sociale. Il farmaco antidepressivo viene assunto anche se non c’è patologia, ma solo tristezza, dolore, senso di vuoto o mancanza legati a una perdita, compresa la fine di un amore. Il farmaco diviene, insomma, una specie di sostanza dopante, utilizzata per renderci efficienti a ogni costo e al prezzo di non ascoltare il proprio dolore. Lo dico da persona tutto sommato di indole più gioiosa che triste: gioia e dolore sono legati profondamente e il nodo è inestricabile. Per vivere la prima bisogna essere capaci di attraversare il secondo.

domenica 27 ottobre 2013

Pasta con pomodori secchi (o della cucina povera)


Può essere facile individuare gli ingredienti di qualche piatto per riprodurlo a casa, ma quanto alle dosi e proporzioni non sempre l’esperimento finisce bene. D’altra parte cucinare funziona anche come una specie di gioco che mette in moto il cervello in tutte le sue componenti, comprese quelle più arcaiche di tipo olfattivo e gustativo. Nel riprodurre a lume di naso una ricetta, inoltre, dato che non si tratta di qualcosa di formalizzato, ci si sente più liberi di introdurre varianti e questo comporta un certo rischio di errori.
Questo è un piatto velocissimo e semplice. Nasce, credo, dalla cucina definita “povera”,  in genere priva di carni e ricca di aromi dal sapore forte.

Tempo: 15 minuti. Il condimento può essere preparato mentre viene scaldata l’acqua per la pasta.
Ingredienti per 2 persone (per moltiplicare meglio):
- un paio di piccoli scalogni e uno spicchio di cipolla rossa
- 4 o 5 pomodori secchi
- 2 o 3 cucchiai di pangrattato
- poche olive verdi e nere denocciolate
- qualche rametto di prezzemolo
pecorino grattugiato o parmigiano o un mix (o anche niente formaggio)
olio
1/2 bicchiere di vino bianco
sale (o brodo vegetale)
pepe (e/o peperoncino)
1. Mettere pochissimo olio in un padella e fare imbiondire scalogni e cipolla tagliati sottilmente.

2. Assicurarsi di avere messo via le borse della spesa per evitare inconvenienti simili.

3. Gettare i pomodori secchi tagliati, aggiungere le olive e fare rosolare un minuto o due; (nelle foto non compaiono le olive: non le ho messe perché un commensale, fisso o quasi, cioè mio figlio, detesta le olive nonché i capperi, purtroppo).

4. Aggiungere mezzo bicchiere di vino bianco e un po’ di brodo vegetale e spegnere appena il liquido è evaporato.

5. In un’altra padella mettere pochissimo olio e fare rosolare quasi tutto il pangrattato, senza farlo bruciare. Questa è l'unica difficoltà della ricetta  perché richiede un po' di esperienza.

6. Scolare la pasta molto al dente e farla saltare velocemente in padella aggiungendo il resto del pangrattato e spegnendo.

7. Aggiungere un po’ di pecorino grattugiato e il prezzemolo tritato finemente, senza farlo cuocere, versando, infine, un filo di olio crudo.

Varianti:
  • si possono tostare dei pinoli insieme al pangrattato
  • invece delle olive si può mettere un po’ di peperone abbrustolito (anche di quelli in barattolo)
  • si può usare della ricotta salata al posto del pecorino grattugiato
  • si può mettere una crema di ricotta ottenuta schiacciandola con i rebbi della forchetta e un po’ d’acqua
  • si può mettere nei pomodori secchi un pizzico di pasta d’acciughe (pochissima, mezzo cm), ma allora si esce dalla dimensione vegetariana.

Alcune considerazioni sul cucinare bene:
Questo piatto stavolta mi è venuto troppo carico, troppo forte nel sapore. La pasta era buona, ma non mi è venuta bene come altre volte e penso che la causa risieda nel fatto che avevo deciso di fotografarla e scriverne qui e dunque  ho esagerato.
D'altra parte cucinare deve essere inteso anche un po’ come un gioco e questo implica la possibilità, qualche volta, di sbagliare. Per cucinare bene bisogna essere consapevoli degli errori che si commettono frequentemente e da cosa sono originati, visto che sono comuni.
Nel realizzare questa ricetta, già sperimentata con successo, ho commesso due errori di filosofia della cucina.
a) Ho esagerato con la quantità degli ingredienti del condimento. Un piatto come questo origina probabilmente da una tradizione di cucina povera (di ex cucina povera, perché i pomodori secchi oggi costano) e dunque non è calibrato sulle esagerazioni, sulla ridondanza degli ingredienti. Oppure scaturisce dalla necessità di preparare qualcosa di veloce senza avere avuto il tempo di fare la spesa e dunque dovendosi arrangiare con quello che c’è in casa. Quando, poi, essendo per caso o quasi venuto bene, si vuole riprodurre, si rischia di sbagliare nel volerlo impreziosire. Come dire che il benessere non sempre è portatore di miglioramento, ma genera i propri peccati e le proprie ombre. Insomma, per volere rendere più elaborato un piatto semplice, spesso si rischia di sciuparlo.
b) Al momento di cucinare mi sono accorta di non avere il prezzemolo e ho deciso di preparare lo stesso questo piatto quasi mancasse solo un ingrediente di abbellimento. Mi sono poi resa conto che invece si tratta di un elemento essenziale perché smorza il retrogusto di dolce dato dallo scalogno e dai pomodori secchi. E’ un errore ricorrente quello di sottovalutare il ruolo del singolo ingrediente di una ricetta che è data, invece, dal delicatissimo equilibrio che si crea tra tutti i componenti. 
In conclusione: il problema delle quantità dei singoli ingredienti di un piatto è relativo anche al gusto personale o a quello dell’epoca nella quale si vive. Perciò, tolto il caso dei dolci cotti, nei quali il rispetto severo delle dosi è raccomandabile perché devono lievitare, oppure assodare, e la chimica è importante per questo tipo di trasformazioni, non sono fanatica del rispetto ossessivo delle dosi e spesso sperimento varianti. Occorre, però, non esagerare nell’interpretazione personale, individuando il limite tra creatività e disastro culinario. D'altra parte, però, per farlo e farsi un'esperienza bisogna rischiare.