venerdì 28 agosto 2015

L'impalpabile

Oratorio degli Angeli Custodi - Lucca
L’oratorio, piccolo e pieno di affreschi e dipinti, tutti bisognosi di restauro, non l’avevo mai visto aperto. Non ci sono molte persone quando con le mie due amiche arrivo all’ingresso, in calcolato anticipo: così acquistiamo i biglietti e torniamo fuori a passeggiare tra le viuzze di Lucca che nelle notti di fine estate è tutta profumata e silenziosa.

Non sono foto sgranate, se non di poco, data la scarsità di luce. E' lo stato degli affreschi. 
Le musiciste sono giovani e molto brave. Si stanno perfezionando al Mozarteum di Salisburgo; ci propongono, con la viola da gamba, il clavicembalo e il flauto, un programma che si adatta al luogo e non solo perché le musiche sono dello stesso periodo dell’oratorio. Interpretano per un pubblico rarefatto, ma attento e partecipe, Porpora, Geminiani, Bach, Schenk, Vivaldi, Scarlatti e Telemann.

La clavicembalista è in ombra, ma c'è. D'altra parte non mi piace fare foto mentre i musicisti suonano e le pause sono brevi
Ascolto rapita il suono dei bellissimi strumenti d’epoca e di tanto in tanto faccio scorrere lo sguardo sui trompe-l’oeil delle pareti, sui tralci di fiori delicati e sui puttini scoloriti dal tempo, quindi comincio la mia rituale litania interna del se potessi.

Sono Manuela Mitterer al flauto, Anna Kiskachi al cembalo e Shen-Ju Chang alla viola da gamba .Il loro ensemble si chiama "Trio Melante". Su youtube si trova un solo video corredato da brevi interventi parlati di ciascuna.
Mi intenerisco sempre per il talento giovane che rischia di non essere abbastanza apprezzato o condiviso, ma anche per le cose belle abbandonate, oltraggiate, danneggiate; le cose belle che dovrebbero essere sentite come parte integrante della nostra identità e storia e alle quali, in definitiva, sembra che nessuno voglia bene.



Per un paio di birre si può spendere più del prezzo del biglietto di questo concerto senza pensarci due volte, ma se si tratta di musica o di spettacolo non banale, sia pure quello di un film, quel prezzo appare sempre troppo alto agli occhi dei più. Eppure, quante energie nel piccolo oratorio raccolto, che nessun biglietto potrebbe comprare!


Museo degli strumenti musicali - Berlino 2009

Energie che ci avvolgono, che ci sfiorano o ci entrano dentro e si riverberano dagli uni agli altri: sono quelle di chi ha dipinto i quadri e i muri, quelle di chi ha composto le musiche che vi risuonano e quelle delle loro interpreti. E poi ci sono anche quelle del nostro cuore di sparuti spettatori commossi, uniti dalla voglia di raccoglierle tutte quante e farle volteggiare nell’aria, in un unico abbraccio danzante.


Nel cuore del mistero
(Museo degli strumenti musicali - Berlino 2009)



lunedì 24 agosto 2015

Con occhi diversi

Le melegrane ci sono anche quest'anno nella casa di mio padre al mare
Mi piace scoprire posti nuovi, annusare odori e profumi di strade sconosciute, assaggiare cibi inconsueti. Mi piace l’imprevisto bello del viaggio, il luogo che ti fa innamorare e che scopri per caso, cercando quello che ti hanno raccomandato di non perdere.

E sotto c'è ancora il piccolo giardino dove sedere, leggere, mangiare
Ma quest’estate non mi sono spostata che pochi chilometri da casa. Però ogni tanto ho viaggiato in altro modo, in una specie di ricognizione della memoria su ciò che c’è ancora e ciò che qua e là non c’è più.

E ci sono ancora le tamerici, sul lungomare, che stimolano la mia insana passione per le foto in controluce.
Ho camminato da sola nelle strade che più familiari non si può, nei sentieri o tra i boschi dove i miei passi si ricalcano negli anni perché ci sono passata bambina, ragazza, donna, con mio figlio in carrozzina, poi nel marsupio, poi nel seggiolino della bici; ci sono passata con persone a cui voglio bene, con le amiche, con mia madre, con mio padre, con i miei nonni. Ci sono passata spesso anche da sola, con un libro sottobraccio, con la schiacciata di quel forno particolare, con la sigaretta, quando fumavo, con la macchina fotografica da quando ci sono quelle digitali che posso portare sempre con me nella borsa, e soprattutto con i miei pensieri più riposti.




C'è ancora la curva rotonda della spiaggia, in fondo al lungomare di asfalto.


E mi piace ancora aspettare proprio lì che i colori gialli e caldi trasfigurino lentamente nell'azzurro un po' rosato del crepuscolo.


Poi di solito mi piace lasciare l'asfalto e ritornare passando nel bosco che a volte sembra più dipinto che reale.

Marina di Cecina
Questo è ciò che si vede a sinistra, mentre a destra ci sono solo pini altissimi, che hanno un po' perso lo splendore di una volta. 

Marina di Cecina

Ormai le piante si ammalano di civiltà. Tra quelle che mi sono più familiari hanno cominciato i cipressi, poi i i pini, poi le palme e ora i castagni, in luoghi differenti della mia vita.

Marina di Cecina

Ci sono le panchine, le stesse, i giochini e le altalene. Però non c'è il trenino con la sua rotaia circolare e la sua breve galleria, gioia dei bambini di tante generazioni. C'è solo la stazione simulata, cioè la biglietteria. Prima ci siamo saliti noi; ridevamo facendo ciao con la manina, ma poi piangevamo quando ci dicevano che basta, no, i patti erano chiari, tre giri e si doveva scendere. E dopo ci abbiamo portato i nostri figli, su un trenino rinnovato, anche loro a fare ciao ridenti con le manine, e poi a piangere per i patti che non volevano più rispettare. Forse noi, genitori più rilassati dei nostri, promettevamo loro cinque giri invece di tre, ma il risultato non cambiava affatto. Non volevano scendere.

Montecatini Val di Cecina, Vicolo de' Crognoli.
Discesa alternativa dalla parte alta e più vecchia del paese
Fra il mare e la collina forse il punto di congiunzione è sempre stato l'elicriso, perché lo trovavo in entrambi i posti e fin da bambina ne raccoglievo foglie da strusciare sulle mani perché volevo che la mia pelle assorbisse quel profumo così sensuale. Ho ancora l'abitudine di staccarne piccoli rametti da mettere in borsa e mi piacciono le sue foglie verde timido e i suoi fiori colore dell'oro, fatti a raggiera come il sole.


Le antiche pietre le riconosco quasi una a una, nonostante i restauri. La selagite, che la pietra caratteristica, veniva anche importata da qui alle vicine città.


Ci sono ancora le canne e i paesaggi bruni e gialli.


La parietaria officinalis cresce ovunque come un tempo. Noi la chiamavamo "piccichella", da bambini, per l'appiccicosità delle sue foglioline con le quali ricamavamo i vestiti nostri o delle bambole.


Da sempre i mici, qui, girovagano liberamente. Per godersi il tepore dei muretti, quando la sera raffresca, si fanno immobili e ci sorvegliano dall'alto, statuari e  quasi scolpiti anche loro nella pietra.


Come questo, al quale mi avvicino per fotografarlo meglio.


Un gatto di città sarebbe già fuggito, ma lui (o lei) lascia fare.


Anzi, fa di più, sembra quasi mettersi in posa.


E guarda dritto negli occhi mentre gli (o le) parlo, come faccio spesso quando incontro un cane o un gatto e a volte anche se mi imbatto in un piccione o in un passerotto che cerca le briciole di patatine dell'aperitivo . 




La torre dei Belforti è ancora qui dal quattordicesimo secolo. Non ci sono mai stati soldi pubblici per restaurarla. Quando ero bambina versava in stato di completo degrado e c'erano persino delle galline a razzolare dentro. Era pericoloso avvicinarsi troppo e ce lo proibivano, ma siccome in un paese i bambini sono molto meno controllati e si fa a fidarsi, noi ci andavamo lo stesso. Anzi, proprio perché proibito questo era uno dei luoghi preferiti per giocare. Ora è proprietà privata e solo così è stato possibile che venisse restaurata e resa disponibile, in certi giorni dell'anno, alle visite.


I ricordi non collimano del tutto con il presente. In particolare mancano le voci, cioè non c'è più la gran parte delle persone che abitavano questa parte del paese, la più alta e la più antica.



Questa torricella,  invece, non è tanto alta come appare fotografandola così, da sotto, ma certo, ingigantendola artificialmente grazie all'inganno percettivo, mi sembra di averla resa più simile ai miei ricordi di bambina.


Capisco meglio, passeggiando, da dove nasce il mio amore immutabile per i toni caldi del giallo e dell'arancio, in tutte le loro sfumature.









Ma si è fatto tardi. E' ora di andare.



venerdì 21 agosto 2015

Si fa per giocare

Quando compro l'uva ho l'abitudine di lavarla tutta e disporla nel portafrutta già divisa in tanti piccoli grappoli da poter mangiare al volo, quando uno ne sente la voglia. Peccato che anche la piccola Blu trovi interessante la cosa.  Gia un paio di volte ha portato a terra per giocarci un po' di acini e li ha disseminati qua e là. Ieri l'ho colta nel momento della progettazione e nel subito dopo. 


L'uso improprio di power point per testimoniare la marachelle dei miei gatti domesticissimi ormai è un piccolo divertimento dei dopo cena oziosi...E poi, fra poco più di una settimana, sarà un anno che Blu vive qui: è un po' anche per omaggiarla!







lunedì 17 agosto 2015

Di chi sono i figli?

Berthe Morisot, La culla, 1873
La discussione di questi giorni sul caso del bambino tolto appena nato alla madre e al padre ritenuti non in grado di curarsi di lui mi stimola una riflessione più generale. Perché io non desidero proprio che i figli siano considerati una proprietà dei genitori e non credo, infatti, neanche nell'idea di famiglia naturale. In altre parole: sono propensa a pensarla come chi ha preso la decisione di dare in adozione quel bambino a persone in grado di amarlo.

Berthe Morisot, Bambine alla finestra, 1892
In ogni famiglia i genitori possono commettere errori nei confronti dei figli e io non desidero, infatti, nemmeno un mondo di genitori perfetti. Penso, però, che in alcuni casi si vada oltre la normale imperfezione e si diventi pericolosi per i figli fino a distruggere, in maniera traumatica, la loro capacità di attaccamento. 

Berthe Morisot, 1880
Perché mettiamo al mondo figli? Credo che il motivo nobile sia più o meno perché gli affetti sono moltiplicatori di se stessi e dunque mettiamo al mondo figli per gratuità creativa e amorevole, cioè per desiderio di aiutare un altro più fragile di noi a realizzare se stesso. Dovremmo farlo, credo, senza pretendere nulla in cambio oltre alla lealtà e al rispetto. Per questo alla prima domanda - perché facciamo figli? - ne potrebbe seguire un'altra: è obbligatorio o indispensabile che tutti facciano figli? Credo proprio di no. E si può essere realizzati anche se non si è genitori?

Berthe Morisot, Il balcone, 1872
Credo proprio di sì. Una persona può essere o meno un genitore, ma non è definita solo da questa sua eventuale dimensione, cioè non vi si esaurisce.
Pare, però, che i motivi per i quali si decide di avere un figlio possano essere ben altri rispetto a quello appena menzionato. Per esempio prolungare noi stessi nel tempo o realizzare, attraverso di lui, i nostri sogni inevasi.

Berthe Morisot, Allo specchio, 1875
Oppure liberarci di antiche frustrazioni e ferite; o, ancora (e peggio), cementare un rapporto di coppia vacillante, se non fallito. Non è amore considerare i figli come una proprietà, esibirli se hanno un buon rendimento a scuola o se si distinguono nel tirare calci a un pallone, nel produrre suoni da uno strumento musicale, nel recitare la poesiola mandata a memoria a scuola per il Natale 
nelle riunioni familiari. Alcuni li vogliono vestiti e pettinati come piace a loro, desiderano che aderiscano alle loro idee politiche o religiose e si aspettano che amino lo stesso genere di musica, di film e di libri.

Berthe Morisot, La gabbia, 1885

Ci sono quelli che qualche volta, senza accorgersene, si servono dei figli come surrogato di ciò che non hanno. Per esempio quando sono infelici nei loro rapporti di coppia, che trascinano stancamente avanti per abitudine e bisogno di sicurezza, senza più la capacità di guardarsi negli occhi avendo perso quella di costruire creativamente una relazione che si trasforma e per questo dura nel tempo.


Berthe Morisot, In giardino, 1874
Lo stesso fanno quelli che sono infelici e pieni di rabbia perché, al contrario, hanno rotto un rapporto finito senza un gesto di tenerezza e scordando che l’altro era la persona con la quale avevano condiviso un sogno. In questo secondo caso i figli possono anche diventare lo strumento cieco di una stupida vendetta che crea infelicità in progressione geometrica. La famiglia si trasforma, allora, nell’inferno sulla terra.

Berthe Morisot, Il porto a Lorient, 1869
Forse, se tutto questo accade, dipende dal fatto che continuiamo a coltivare un’idea dell’amore legata alla conferma di sé e al possesso dell’altro invece che al desiderio della sua felicità, dunque al rispetto di ogni sua differenza e del suo diritto a volere cambiare se stesso nel tempo. Lo iberniamo in un’immagine senza prestare ascolto e assecondare la sua voglia di migliorarsi e in questo modo uccidiamo l’amore. Ad amare si impara e non c'è nessun istinto, neanche quello materno o paterno, a garantirci di esserne in grado.

Berthe Morisot, In veranda, 1884