mercoledì 25 giugno 2014

Quell'anormale e brutta normalità.

L'arte della felicità, Alessandro Rak, 2013
Il marciapiede è uno dei più larghi di Pisa, pioviggina e sono senza ombrello. Qui le auto non sono incolonnate come accade in pieno centro quando piove. Sfrecciano come se fossero a Monza. Un'auto di quelle da ricchi non evita la pozzanghera vicina a me e mi ritrovo fradicia fino ai fianchi compresi, scarpe e tutto. Può succedere, non mi deve avere visto. Però, dopo pochi metri, alzo le braccia per segnalare che esisto vedendo arrivare, anzi, sfrecciare, un'altra auto di quelle potenti.
L'arte della felicità, Alessandro Rak, 2013
L'uomo alla guida non rallenta, anche se mi ha visto, e questa volta la conseguenza è che mi ritrovo bagnata anche di sopra, capelli compresi, occhiali e tutto. Inveisco ripetutamente contro di lui nel turpiloquio colorito della Toscana e mi trovo costretta a tornare a casa per asciugarmi e  cambiarmi.

L'arte della felicità, Alessandro Rak, 2013
Dopo poco passo tra le solite due ali diurne di disgraziati che bivaccano vicino al mio portone, grigi e disprezzati; sono quelli all'origine del "... ma come fai ad abitare in quella piazza" di alcuni miei amici e conoscenti. Li guardo, li riconosco; mi guardano, mi riconoscono. Passo in mezzo a loro nel silenzio e non mi succede niente. Penso ancora una volta che il pericolo, anche in queste piccole inezie quotidiane, sono i normali. Anzi, i troppo normali, quelli baciati dalla fortuna, che si fanno prepotenti e insensibili godendosi il brivido dell'impunità data dalla ricchezza.  Un'auto potente, ormai, è come una corazza, una protesi, un'arma, alla fin fine, che definisce le gerarchie di importanza dell'esistenza. Puah.
L'arte della felicità, Alessandro Rak, 2013

venerdì 20 giugno 2014

L'onomastico e la voce




Il trasloco, si sa, non ti fa perdere niente, caso mai ti fa ritrovare quello che credevi di non avere più. Piccoli oggetti, disegni, appunti personali. Per esempio quello che sto per trascrivere qui non ricordo nemmeno se era stato scritto per qualcuno o per me soltanto. C'è segnata la data e si tratta di un anno prima che mia madre morisse.

Fernand Khnopff, Roses, 1911
“Venerdì 17 settembre 2010. Questo silenzio è innaturale. Mi sono portata del lavoro e così me ne sto seduta, quasi accoccolata sulla mia impotenza, a guardarla mentre respira lentamente e tiene gli occhi chiusi; solo scossa, di tanto in tanto, da un piccolo tremito e da una specie di colpo di tosse prolungato sebbene timido e sottotono. Non ce la fa più neanche a tossire. La mente si lascia attraversare dai ricordi di tutte le volte in cui in un ospedale come questo - e spesso esattamente in questo – ho seguito con apprensione il camice svolazzante di qualche medico  per avere notizie, ma in realtà per aggrapparmi a una parola, a uno sguardo. Sorrido a chi entra per portare a termine il suo compito specifico, lo stesso tutti i giorni, nella speranza che il sorriso sia ricambiato, che la vita e la sua leggerezza entrino in qualche modo in questo luogo di paura, di sofferenza, di estraniazione dal fuori, dai suoi colori e odori. Alzo gli occhi da ciò che sto leggendo e la osservo di nuovo: considero il colore della pelle, la sua lucentezza in certi punti, la tensione in altri. E la pena dei capelli grigi, scomposti, quasi violentati dal cuscino, sollevati qua e là senza armonia. Apre gli occhi, a un tratto, e cerca di guardare dalla parte da cui proviene una voce che assomiglia alla mia e che la chiama sorpresa: "Mamma, sei sveglia? Io sono qui!". Non ci riesce se non al prezzo di lasciare crollare la testa in avanti, sul petto. Un sospiro ed è già di nuovo lontana mentre io mi rimetto a lavorare per non sentire più la pena acuta e insopportabile che provo.”
Fernand Khnopff, Ligeia, 1887
Pochi giorni fa era il mio onomastico, ricorrenza della quale mi sono sempre scordata. Una sola persona ci teneva  a farmi gli auguri ed era mia madre.
Ogni anno il 13 giugno mi telefonava e io cascavo dalle nuvole e facevo spallucce. Anche questa volta me ne sono scordata e con me tutti quelli che mi sono vicini, tutti quanti. Finché a una certa ora mi ha telefonato una persona con la quale non ho nemmeno una grande confidenza e al suo inaspettato “Buon onomastico!” il cuore si è messo a fare i capricci e a battere forte. 
Fernand Khnopff, Ritratto di Jeanne Kefer, 1885

Ecco, sono le cose stupide, le più banali e quotidiane, a darti il senso acuto di una perdita.
Penso che non riesco a ricordare la sua voce. Ho molti ricordi visivi, ho chiara l’immagine del volto nelle sue trasformazioni nel tempo, ma la voce di mia madre no; la voce non la ricordo più. 


Fernand Khnopff, Mon coeur pleure d'autrefois, 1889

martedì 17 giugno 2014

L'omicida bambino


Barbablù di Gustave Doré

È sempre la stessa storia. Ci sono troppi uomini–bambini in questo paese. Sono convinta, sì, che ci sia un problema specifico tutto italiano. Non mi riferisco al femminicidio in generale, anche se noi, in classifica, stiamo molto in alto, ma a una tipologia particolare: quella dell’uomo così debole, che non sa prendersi responsabilità, curarsi dei figli se non all’interno della famiglia e delegando per solito alla compagna la questione. Un uomo-bambino gentilissimo, che chiede scusa  e permesso, che dice buongiorno per strada e che lascia il posto sull’autobus alle signore anziane. “Con il divorzio i figli sarebbero restati”. Così, più o meno, ho letto poco fa dalle sue dichiarazioni. Era solo innamorato di un’altra che oltretutto non era minimamente interessata a lui. E per affermare un proprio sentimento, un sentimento senza domani, per affermare la propria esistenza, ha dovuto uccidere la sua compagna e i suoi due piccolissimi figli. Ma si sa, come hanno detto i soliti vicini, quella era una famiglia normale e lui, lui, tanto gentile e buono.
Forse, ancora una volta, dovremmo riflettere sull’idea che abbiamo di famiglia, di amore, di responsabilità e di gentilezza. L’aggressività e la rabbia sono sentimenti umani: bisogna saperli esprimere anche nelle relazioni d’amore e non farli scoppiare improvvisi, come fanno, appunto, quelli che ancora devono crescere. 

lunedì 9 giugno 2014

I desideri



Di bracciali filiformi e colorati ne avevo al polso tre, acquisiti in tempi diversi. Si dice che se annodandoli esprimiamo un desiderio di sicuro quando si romperanno si avvererà. Io non ci ho mai creduto sul serio, ma mi sono detta che così, per gioco, avrei anche potuto provare. 




Due dei desideri annodati nei miei bracciali si sono realizzati senza che si rompessero e il terzo, il più recente, è un desiderio che probabilmente è irrealizzabile.



Le fantasie e i sogni vivono di una loro dimensione separata di esistenza, ma i desideri no. I desideri trovano senso nel loro potersi avverare e coltivarli serve per darsi la spinta o il coraggio di agire in modo che accada. I desideri realizzabili ci rendono arditi, ci illuminano di una luce speciale e ci danno quasi la sensazione di poter travalicare il tempo. Quelli irrealizzabili, invece, ci rendono brutti, silenti e paurosi. E così, poco fa, ho tagliato i tre bracciali che avevo al polso e i miei desideri, finalmente, possono volare.


martedì 3 giugno 2014

Il guinzaglio che rassicura.

Un trasloco ti fa anche riesumare ciò che avevi scordato perché il bello delle faccende noiose è che la loro vacuità spinge a riflettere  su quelle importanti. Ho ritrovato oggetti che credevo perduti e con essi le emozioni che li riguardavano. E in un frammento di tempo sono andata  a vedere se per caso, nei vecchi post, c'era una traccia di ciò che gli oggetti hanno riportato alla mente. Ho trovato questa immagine e le parole che seguono, scritte in un 3 giugno di un altro anno.

Giacomo Balla, "Dinamismo di un  cane al guinzaglio", 1912

A molte persone piace essere tenute al guinzaglio. E’ rassicurante il guinzaglio. Piano piano ti allontana da tutto ciò a cui tieni per darti un unico riferimento. Dunque semplifica la vita, il guinzaglio, perché non devi decidere né chi frequentare né cosa fare, ma solo seguire qualcuno che te lo chiede amorevolmente e poi ti ricompensa con due o tre biscotti. Ogni tanto vieni pure lasciato libero in qualche campo protetto così che tu possa di nuovo accettare il guinzaglio nel resto del tempo. Un’evasione e si ricomincia. Bravo cane, bravo il mio cane, ti viene detto, e ti senti appagato. Sei un cane importante. Puoi sembrare persino dinamico e felice, quando sei al guinzaglio. Come nel dipinto di Giacomo Balla che si intitola “Dinamismo di un cane al guinzaglio”.