martedì 21 marzo 2017

Sintonie & sentimenti

Sala di multisala pisano - In anticipo, di domenica sera
Sui sentimenti coltivo da sempre l'idea che bisogna dare loro una totale possibilità di esprimersi, lasciandocene avvolgere per amplificarli. La mattina scelgo un profumo, un colore da indossare, un paio di orecchini o una collana in base al sentimento dominante con il quale mi sveglio. E se sono allegra voglio circondarmi di gioia, se sono triste di malinconia.


Contrariamente alla maggior parte delle persone, anche i film li scelgo con questo criterio perché quando ho voglia di piangere cerco di poterlo fare meglio attraverso qualche storia ben rappresentata che mi provochi lacrime a fontana e se sto bene voglio invece ridere, ridere a più non posso...


Non capisco chi dice che siccome passa un brutto periodo, allora non vuole vedere film tristi o storie commoventi. Per me è il contrario. Piangere su storie non mie, facendole mie, mi genera un senso di condivisione comunitaria che mi fa sentire meno sola con il mio dispiacere. Domenica sera, per esempio, ho scelto il film più lacrimevole che c'era tra quelli non ancora visti.

Perché ero triste, con questa storia della festa del papà che quando il papà ce l'avevo non mi pareva
 avesse importanza e che quest'anno, per la prima volta, ora che non sta a me decidere se festeggiarla o meno perché ci ha pensato già il destino, mi mette addosso tanta nostalgia. 
Sono entrata al cinema che avevo scelto per poter piangere bene che non c'era ancora nessuno. Ho predisposto i fazzolettini a portata di mano in modo da non dovere fare rumore con la cerniera della borsa, arrivato il momento, e poi, nell'attesa delle lacrime liberatorie, mi sono messa a fotografare le file vuote di poltroncine rosse finché non sono entrate le prime persone.


Finalmente si è fatto buio in sala. Con il fazzoletto in mano ero pronta a sciogliermi presto, ma non avevo fatto i conti con i vicini. A sinistra due garrule ragazzine che accendevano i cellulari, a destra un signore che schiacciava rumorosamente la bottiglietta dell'acqua con la mano ogni volta che si emozionava, davanti tre signore che ciarlavano, dietro quelli con i popcorn: impossibile piangere.

Il film che ho visto: Loving, di Jeff Nichols 
Sono uscita un po' delusa, anche se il film era bello, per il fatto che non ho pianto. Con le lacrime a fior di ciglio, che non tornavano indietro ma nemmeno riuscivano a sgorgare, ho attraversato a passo svelto la notte, nera di un nero sporco e respingente, squarciato solo dalle luci fredde delle vetrine.

Il film che mi avrebbe fatto sicuramente piangere, se non ci fossero stati quei vicini irritanti, raccontava di un amore contrastato:  che è uno dei soggetti più lacrimogeni che conosca. Per questo è così naturale piangere quando Violetta-Traviata muore.

Maria Callas - Violetta
E, purtroppo e inutilmente, piangevano anche tutti quei borghesi dalla doppia morale che all'epoca delle prime rappresentazioni di quella sua morte annunciata, una volta fuori dal teatro ricominciavano a comportarsi proprio come i suoi assassini morali. Forse piangevano le proprie rinunce, il proprio essere diventati adulti in maniera cattiva, lasciando dietro di sé le tracce dei sogni spezzati. 



Io piango quando Traviata muore, e quando muoiono Manon o Mimì o Butterfly. Anzi, piango un po' prima che succeda, quando ripensano, rimpiangono, dichiarano i propri sentimenti che sono sempre di amore incompreso o sprecato o inespresso.


Così, appena arrivata  a casa, sdraiata sul divano e con gli occhi chiusi, mi sono lasciata avvolgere dalla voce di Mimì che canta per l'ultima volta il suo amore profondo ed infinito come il mare e immaginandola con la mano non più gelida e illividita, ma calda tra quelle di lui, finalmente ho pianto. 

Maria Kuznetsova - Mimì


lunedì 6 marzo 2017

Lo sapevo che mi avrebbe fatto piangere



Lo sapevo che mi avrebbe fatto piangere, che forse sarebbe stato meglio non andarci perché avrebbe riaperto una ferita che ancora, chiusa, non lo è per niente. Il film ci racconta i danni del neoliberismo che rischia di corrompere anche la nostra relazionalità rendendoci tutti robotici, cinici e insensati egoisti.



Parla, però, anche del rapporto tra una figlia e un padre e io, il mio, l’ho perso da pochi mesi.


Ci racconta delle gerarchie di importanza tra le esperienze e di cose fondamentali che dovremmo già sapere, che dovrebbero essere il nostro lasciapassare per diventare adulti. Il lasciapassare per attraversare il dolore e lasciare che affiorino le ombre, le paure, le inquietudini, senza perdere il senso dell’umorismo, l’ironia che rende la vita come un gioco bello in cui sei consapevole che puoi vivere molte dimensioni e non solo quella di ciò che si tocca con mano e ha la consistenza degli oggetti.




Sorridevo, ridevo e mi commuovevo durante il film, che nonostante la lunghezza è volato in fretta e quasi non mi sembrava possibile che fosse finito.




Quando ho perso mio padre, pochi mesi fa, appunto, mi è venuta da dentro una grande rabbia per tutto il tempo buttato via in faccende che non valevano il mio affanno o sprecando energie con persone incapaci di essere davvero generose di sé, ma sempre lì, tutte tese a calcolare la convenienza, e se vale la pena e se non vale. Non l’ho davvero deciso: è successo. E’ successo che mi sono allontanata da tutti quelli che all'improvviso mi sono apparsi egoisti, invidiosi, incapaci di portare gioia nella mia vita, di donare tempo ed energie senza calcolare se potevano permetterselo o no, ma con leggerezza spontanea, incuranti di conseguenze e rischi.  Il tempo si è fermato per un po’, allora – ed è passato quasi un anno – perché quando ormai puoi definirti davvero e definitivamente orfana, con quella parola che da piccola faceva parte solo di fiabe di infelicità e del regno dell’impensabile, sei come sospinta a entrare in una dimensione diversa e a guardarti attorno, a scegliere chi era vicino a te in quel dolore e ad allontanare chi non c’era.



Il film, intelligente, di una sensibilità particolare, divertente e drammatico insieme, di questo parlava. Delle epifanie, cioè di quei momenti così belli o così drammatici dell’esistenza, che ti illuminano all’improvviso la notte più scura e capisci, prendendo in prestito una frase del film, che no, la vita non può essere ridotta a una lista di cose da fare e alla loro triste spunta. Lo sapevo che dovevo andare a vedere quel film e sono contenta di averlo fatto. Anche piangere e commuoversi, a volte, è come una liberazione e dopo rientri con il cuore gonfio di sentimenti e gratitudine.