domenica 18 maggio 2014

Morire giù, giù, dove si sente battere il cuore della terra

Resti della Miniera di Caporciano (Montecatini Val di Cecina)
Come molti, ma forse più di tanti altri, sono rimasta particolarmente colpita dalla morte - qui il link - dei 301 minatori turchi, tra i quali anche un ragazzino di quindici anni.  Forse perché sono cresciuta in un piccolo paese la cui storia è strettamente legata a quella di una miniera di origini etrusche. Inattiva dagli inizi del 1900, la Miniera di Caporciano era stata, nel secolo precedente, la maggiore miniera di rame dell’Europa.

Resti della Miniera di Caporciano
A scuola studiavamo la storia del nostro paese insieme a quella della miniera e poi, volendo, potevamo approfondire e leggere altre notizie; per esempio delle lotte dell’epoca di esordio del socialismo, dei licenziamenti, delle condizioni di vita dei minatori. Mio nonno ne aveva raccolte moltissime in un suo quaderno e dunque avevo una fonte scritta e orale a portata di mano.

Montecatini Val di Cecina, a un km di distanza
dalla Miniera di Caporciano - novembre 2011
Oggi, dove un tempo era attiva la miniera, è presente un Museo di cui metto qui  il link.


Resti della Miniera di Caporciano
Per noi bambini l’ingresso del pozzo Alfredo, che credo fosse quello principale, la chiesina di Santa Barbara, considerata la protettrice dei minatori, la lontana e antichissima diga, detta del muraglione, il vecchio ingresso della miniera e altri resti erano lo scenario di molte fantasie, fiabesche o di paura, e di altrettanti giochi.

La guardiola della miniera
Era uno scenario affascinante perché comprendeva alcune zone proibite, ritenute pericolose. La miniera, infatti, si inoltrava giù, giù, chissà dove nelle viscere della terra; e sapevamo anche della cappella dei minatori a più di 100 metri di profondità, nel cuore della roccia. Io me li immaginavo, quegli uomini, mentre scendevano e si fermavano a gettare uno sguardo su un'immagine di donna appesa alla roccia e pensavano a quelle che li aspettavano sopra il suolo, che lavavano i panni nel lavatoio collettivo situato altrove, nel paese, e parlavano e cucinavano e anche loro lavorano sodo, ma scaldate, almeno, dalla luce dal sole. 
Noi bambini, naturalmente, giocavamo volentieri proprio attorno a dove era proibito entrare, e, dunque, anche avvicinarsi. All'epoca c'erano recinti di filo spinato che sembravano sfidarci e invogliavano a  creare pertugi.

Resti della Miniera di Caporciano
Mi sono poi nutrita, negli anni della prima adolescenza, di molti romanzi che raccontavano storie di miniera, credo per dare un volto e una voce ai personaggi sui quali da piccola avevo fantasticato.

La chiesina di Santa Barbara
Quel potere essere inghiottiti, ancora vivi, proprio là dove l’immaginario colloca gli inferni, mi dava il senso dell’ingiustizia del mondo. Da bambina ne ero meno consapevole di come lo sarei stata dopo, dal punto di vista razionale, ma lo ero già del tutto dal punto di vista emotivo, come, penso, tutti i miei compagni di giochi.


Percepivamo, in qualche strano modo, senza saperle e senza poterle raccontare, le sofferenze, le angosce, la fatica e le speranze di chi, giorno dopo giorno, rinunciando alla luce, aveva consumato la vita nel ventre della terra scura.



I luoghi conservano una memoria che non si può tradurre del tutto in parole, ma, per chi è disposto ad ascoltare si trasmuta in sensazioni di carne: in brividi di paura e vertigini che si ibridano con il batticuore della curiosità. Quei muri di pietra diroccati e quelle ruote giganti e arrugginite che si intravedevano, al di là delle grate di ferro, attiravano molto la nostra attenzione di bambini. Perché da piccoli si è ancora sensibili alla voce di ciò che non ha voce; alberi, rocce, vecchie mura scaldate nel tempo da mille soli: testimoni, spesso, proprio delle vergogne umane.


“In fondo alla loro galleria da talpe, sotto il peso della terra, i minatori, senza più fiato nei petti in arsura, picconavano, picconavano sempre.” (Émile Zola, Germinal). 


2 commenti:

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