Resti della Miniera di Caporciano (Montecatini Val di Cecina) |
Resti della Miniera di Caporciano |
Montecatini Val di Cecina, a un km di distanza dalla Miniera di Caporciano - novembre 2011 |
Resti della Miniera di Caporciano |
Per noi bambini l’ingresso del pozzo Alfredo, che
credo fosse quello principale, la chiesina di Santa Barbara, considerata la protettrice dei
minatori, la lontana e antichissima diga, detta del muraglione, il vecchio
ingresso della miniera e altri resti erano lo scenario di molte fantasie,
fiabesche o di paura, e di altrettanti giochi.
Era uno scenario affascinante perché
comprendeva alcune zone proibite, ritenute pericolose. La miniera, infatti, si
inoltrava giù, giù, chissà dove nelle viscere della terra; e sapevamo anche della cappella dei minatori a più di 100
metri di profondità, nel cuore della roccia. Io me li immaginavo, quegli uomini, mentre scendevano e si fermavano a gettare uno sguardo su un'immagine di donna appesa alla roccia e pensavano a quelle che li aspettavano sopra il suolo, che lavavano i panni nel lavatoio collettivo situato altrove, nel paese, e parlavano e cucinavano e anche loro lavorano sodo, ma scaldate, almeno, dalla luce dal sole.
Noi bambini, naturalmente, giocavamo volentieri
proprio attorno a dove era proibito entrare, e, dunque, anche avvicinarsi. All'epoca c'erano recinti di filo spinato che sembravano sfidarci e invogliavano a creare pertugi.
Mi sono poi nutrita, negli anni della prima
adolescenza, di molti romanzi che raccontavano storie di miniera, credo per
dare un volto e una voce ai personaggi sui quali da piccola avevo
fantasticato.La chiesina di Santa Barbara |
Quel potere essere inghiottiti, ancora vivi, proprio là dove
l’immaginario colloca gli inferni, mi dava il senso dell’ingiustizia del mondo.
Da bambina ne ero meno consapevole di come lo sarei stata dopo, dal punto di vista razionale, ma lo ero già del
tutto dal punto di vista emotivo, come, penso, tutti i miei compagni di giochi.
Percepivamo, in qualche strano modo,
senza saperle e senza poterle raccontare, le sofferenze, le angosce, la fatica
e le speranze di chi, giorno dopo giorno, rinunciando alla luce, aveva
consumato la vita nel ventre della terra scura.
I luoghi conservano una memoria che non si può
tradurre del tutto in parole, ma, per chi è disposto ad ascoltare si trasmuta in
sensazioni di carne: in brividi di paura e vertigini che si ibridano con il batticuore della curiosità. Quei muri di pietra diroccati e quelle ruote giganti e
arrugginite che si intravedevano, al di là delle grate di ferro, attiravano molto la nostra
attenzione di bambini. Perché da piccoli si è ancora sensibili alla voce di
ciò che non ha voce; alberi, rocce, vecchie mura scaldate nel tempo da mille
soli: testimoni, spesso, proprio delle vergogne umane.
“In fondo alla loro galleria da talpe, sotto il peso
della terra, i minatori, senza più fiato nei petti in arsura, picconavano,
picconavano sempre.” (Émile Zola, Germinal).
La Lampe.
RispondiEliminaMolto bello, grazie!
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