mercoledì 26 febbraio 2014

Uomini, donne, paure.

Cappuccetto rosso di Arthur Rackham
Nella Francia del 1600 le prostitute indossavano una mantellina rossa come segno di riconoscimento. In molte culture, inoltre, indossare qualcosa del colore del sangue serve a comunicare di essere nel periodo mestruale.

Cappuccetto rosso di Gustave Doré
Il sangue mestruale, antico ingrediente primario dei filtri d'amore, in genere occultato nel vino rosso, è da sempre anche un elemento tabù, forse perché assimilato com'è ai ritmi lunari si lega al mistero dell’essere donna. Avere un corpo di donna significa possedere un ancoraggio particolare e più saldo con la natura, ma anche, nello stesso tempo, infrangerne le leggi con il paradosso biologico della gravidanza, cioè del potere albergare dentro di sé una diversa esistenza. 


Il flauto magico: La Regina della notte
di Emanuele Luzzati

Nell'immaginario maschile la donna è la madre, l’origine oscura della vita, il paradiso dell’eterno ritorno, la regina della notte che ti avvolge nel suo largo mantello trapunto di stelle e con la sola forza del suo canto potrebbe imprigionarti per sempre dentro di sé.


Aria della Regina della notte
da Il flauto magico di Mozart 

Cappuccetto rosso: quante volte e in quante versioni è stata raccontata! Esprime di certo le paure profonde di noi donne rispetto agli uomini, che potrebbero all’improvviso mostrare il volto ferino della brama di possesso o quello, più evoluto culturalmente, ma non meno crudele, dell’egocentrismo e della debolezza che rende incapaci di confronto e di ascolto.

Gustave Doré
La favola della bambina con il mantello rosso, però, esprime anche le paure arcaiche di voi uomini rispetto alla nostra diversità. Molti di voi, ancora, ci vogliono bambine perdute nel bosco per duplicarsi – scontenti e incompresi - nelle sembianze del lupo crudele e mentitore o in quelle della figura salvifica, paterna e altrettanto distante, del cacciatore.
...nei murales di Julien Coquentin
Forse è per questo intreccio di paure che a volte non sappiamo custodire e difendere le carezze e i baci L’amore è un po' più in là rispetto ai giochi di potere, di possesso e di paura. L'amore è reciprocità, complicità, sguardo ricambiato. L’amore può anche rendere necessario, a volte, essere crudeli a vicenda con la verità, ma poi permette di salvarsi a vicenda con le carezze, i giochi e le risate condivise.
Cappuccetto rosso di Scott Gustafson
Vorrei che fosse per tutte e tutti così e questo è il desiderio di un risveglio salutato da un cielo grigio come quello di stamani.
Il flauto magico: Papageno e Papagena
di Emanule Luzzati

giovedì 20 febbraio 2014

La vita ad Alta Velocità



Da un anno a questa parte ogni volta che passo dalla stazione di Bologna il mio umore e la mia personalità subiscono un cambiamento tanto repentino quanto radicale. Infatti, sia che arrivi con un sorriso gioioso, sia che un languore di dolcezza malinconica mi colori lo sguardo, dopo pochi secondi mi trasformo in un’erinni furiosa e cattiva. Succede da quando è stato creato quell’orrendo non-luogo sotterraneo per i treni ad alta velocità. 
Gustave Doré, Lo Stige

E’ fatto come mi immaginavo dovessero essere gli inferi quando mi facevano tradurre le versioni al liceo. In un luogo così - penso, rabbrividendo - camminava Orfeo cercando di rispettare il divieto di voltarsi a guardare Euridice e certo doveva battergli forte il cuore al pensiero di poter riavere con sé per sempre il suo amore o di perderlo ancora. 
Auguste Rodin, Orfeo ed Euridice (particolare), 1893
Scendendo nel sottosuolo cupo della stazione di Bologna sembra di penetrare in un'altra dimensione di tempo. Ci si immagina che così possa essere il mondo dopo una terza guerra mondiale. I viaggiatori che si muovono nell’al di sotto di Bologna, infatti, sembrano i sopravvissuti di qualche devastante bombardamento che si aggirano incerti tra ceneri fumanti, calpestando un suolo arido e rinsecchito. Smarriti e con gli occhi dilatati chiedono gli uni agli altri indicazioni perché qui, nell’oltretomba ferroviario bolognese, la segnaletica sparisce all’improvviso e poi riappare, più in là, paradossale e angosciante. Le frecce nere su fondo giallo indicano infatti ogni direzione possibile per raggiungere un medesimo luogo e cioè i famigerati binari dal 16 al 19: verso il basso e l’alto, a destra e a sinistra e anche a diritto, per non farci mancare niente. Ora là sotto hanno collocato un bar; una penisola di luce sperduta nel grigio antracite che sembra quasi una proiezione della nostra fantasia. 
Museo della scienza e della tecnica di Berlino - 2009
Sono abituata a viaggiare, eppure, la prima volta che sono scesa negli inferi di Bologna, ho perso il treno. Ora il percorso mi è noto, ma mi rispecchio lo stesso negli occhi spalancati di quelli, soprattutto anziani, che dopo un paio di scale mobili posano i bagagli a terra e si guardano intorno spauriti pensando di essere già morti o, se va bene, catapultati in un incubo alla Dario Argento.
Hugo Cabret di Martin Scorsese. E' attraverso il grande orologio
che il bambino comprende il senso delle cose e del tempo che ce le rapisce, ma può riconsegnarcele sotto mutate vesti.
Non sarebbe del tutto negativa, la situazione, se almeno i treni funzionassero meglio. Ormai mi sono abituata e alla fine faccio presto a scendere e risalire dagli inferi. Di risalire, quando sono lì sotto, non vedo l‘ora. Eppure amo le metropolitane che velocemente, attraversando la pancia di una grande città, ci portano da un punto all’altro senza che ci si debba fare prigionieri del traffico in superficie. Lì sotto, invece, provo un’angoscia insormontabile. Forse perché questi inferi bolognesi non sono abitati come le metropolitane delle grandi città dove a sera sciama la stessa folla che popola la vita di sopra; dove qualcuno canta e qualcuno suona; dove si incrociano i propri simili che tornano dal lavoro, che hanno per mano i bimbi usciti dalla scuola, che pensano già alla serata.
Museo della scienza e della tecnica - Berlino 2009

Qui, invece, ai binari che vanno dal 16 al 19 transitano per lo più i ricchi, gli uomini d’affari, le donne manager, gli intellettuali e i dirigenti. E’ tutto uno sfoggio di borse firmate e cellulari in un glaciale silenzio che quasi ti fa rimpiangere i classici personaggi attaccabottone di scompartimento.
Dicevo che sarebbe un po’ più sopportabile, questo non-luogo, se almeno i treni funzionassero meglio. Invece perdere una coincidenza a Bologna è ormai una certezza. Così, da un po’ di tempo, faccio biglietti con coincidenze create da me e tali da lasciare un maggiore margine tra un treno e l’altro. Poi, semmai, cambio la freccia. Così ho fatto questa volta e stamani, tornando da Modena dove avevo finito prima e dunque preso un treno precedente rispetto al programmato regionale, mi sono ritrovata a Bologna con un margine di tempo di un’ora  e mezza.
Museo della scienza e della tecnica - Berlino 2009

Quindi  sono scesa negli inferi dove si trovano, qua e là, solitari come i foruncoli, isolati e rari, che spuntano anche sul volto di chi non è più adolescente, dei chioschetti uguali a quelli dei gelatai di altri tempi. Solo che dentro invece del gelato c’è un computer e invece del gelataio c’è un ferroviere. No, non gli riesce cambiarlo e mi invita ad andare sopra e sopra, all'assistenza clienti - freccia, mi invitano a fare la fila in biglietteria. Allungherei troppo il post a spiegare le ragioni ossessive di questa impossibilità di cambio. Fidatevi, si tratta di ragioni abbastanza assurde. Rinuncio al cambio e mi siedo in sala d’aspetto. Ecco: c’è il bambino viziato che frigna perché vuole qualcosa e la mamma laissez-faire che tira fuori dalla borsa di tutto per placarlo. Li ho sempre ritenuti insopportabili iatture dei viaggi in treno. Ora, invece, provo un sentimento diverso. Ti voglio bene bambino viziato che mi distogli dallo scrivere e anche alla tua mamma viziante voglio bene. Signora che mi distogli anche tu, chiedendomi a quale binario si trova il treno per Piripicchio sul mare: ti voglio bene. E voglio bene anche a te, giovinastra con le figurine dipinte in forma di smalto sulle unghie.E anche a te, ragazzo con il ciuffo rigido di gel che apri olezzanti fritture MacDonald’s e me ne inondi. Quello che mi è sempre sembrato un puzzo, un’altra iattura dei viaggi in treno, lo percepisco, ora, come una fragranza deliziosa. Vi voglio bene, in questo momento, scocciatori di ogni specie, come ad altrettanti fratelli e sorelle, perché qui è la vita e sotto, dove non si incontrano che raramente persone come voi, il non-luogo dell’insensatezza. 
E a proposito di insensatezza: alzo gli occhi verso la lapide nota che ricorda i morti giovani, bambini e di tutte le età di una strage fascista che ha segnato questa stazione e penso a come siamo bravi, noi esseri umani, a distruggerci per la bramosia di superare ogni limite, a partire dalla velocità.
A Firenze la sala d'attesa è diventata un freccia-club,
anche se l'insegna è rimasta a imperituro ricordo
.
Sono consapevole di essere in una delle ultime sale d’aspetto di questo paese. Ormai stanno chiudendole tutte e lasciano il posto ai negozi. Se ci si vuole sedere, come a Firenze o a Milano, ci sono solo alcune squallide panchine affollate davanti alla biglietteria. A meno che uno non sia un “clubbista” delle frecce e allora può entrare nel club e sedersi. Perché bisogna consumare, consumare, consumare: anche la vita. 
Mi rilasso e non mi importa più di questa ora e mezzo di attesa; non cambia niente se arrivo a Pisa poco più tardi e ora, qui, e dopo, in treno, posso scrivere per sfogarmi e poi leggere o appisolarmi un po’ o ancora chiudere gli occhi e fantasticare come si fa solo quando ci si concede il lusso di un po’ di tempo da perdere. Il lusso, finalmente,  di un tempo lento. 
Hugo Cabret di Martin Scorsese

lunedì 17 febbraio 2014

Shakespeare la sapeva lunga

La dodicesima notte
“Eh, amate troppo e solo voi stesso, Malvolio e assaggiate tutto con il disgusto. Chi è generoso e liberale e senza pesi sulla coscienza prende per sassolini di fionda quelle che a voi sembrano palle di cannone.” (Shakespeare, La dodicesima notte). Olivia rimprovera a Malvolio di non cogliere le possibili occasioni di felicità a causa del narcisismo dal quale è affetto e che lo rende incapace di vedere al di là del proprio egocentrico punto di vista.


Shakespeare la sapeva lunga. La figura del narcisista, infatti, ha finito per rappresentare il modello di comportamento dominante.


Sono ormai troppi quelli che sembrano perennemente agìti dalla smania di sentirsi riconosciuti. Molti cercano la conferma di sé anche indirettamente, attraverso una sorta di insidiosa identificazione con qualcuno che ritengono si faccia valere più di loro; qualcuno, magari, che urla, si arrabbia, si pone come un censore, un castigatutti e un vendicatore, ma soprattutto un depositario di verità tanto semplici quanto assolute. Oh... finalmente! Concetti ridotti ai minimi termini, banali come l'egoismo, ma che suonano naturali, liberatori... Largo ai giovani, ai ricchi, ai furbi, a chi sa fare a gomitate. Ecco. Questo è l'esempio e basta seguirlo per uscire dalla penosa sensazione di essere degli eterni perdenti. 


La dodicesima notte
Cambia il nome, l'aspetto, qualche abitudine, ma il personaggio che funge da modello da una ventina di anni a questa parte è sempre lo stesso.
Il gioco delle relazioni tra gli esseri umani ha così assunto i colori del narcisismo e li ha stesi su tutto: sui luoghi delle decisioni importanti, ma anche nelle nostre case e persino, a volte, nelle nostre camere da letto.

La dodicesima notte - versione manga
Da qualche anno, perciò, penso spesso con raccapriccio che sia in atto una vera e propria mutazione di carattere psichico e relazionale. Il modello di personalità oggi dominante mi pare legato a un narcisismo malato che si esprime nel bisogno insaziabile di gratificazioni, attenzioni e riconoscimenti  e nell’abitudine di porre se stessi al centro del mondo.

Il drammatico Narciso di Caravaggio - 1597-1599
Si diventa, così, ipersensibili alle critiche e portati a interpretare in base all’idea paranoica del complotto ogni piccola distanza o grande differenza di opinione e di modo di essere. 
La convinzione del “tutto mi è dovuto”, che caratterizza il narcisista, può portare alcuni ad assurgere a posizioni di potere; alla maggior parte delle persone, però, impedisce semplicemente di godere delle cose belle e buone del mondo e di coltivare relazioni autentiche e affetti disinteressati. 


Il narcisista è disperatamente dipendente dalla conferma altrui e nello stesso tempo considera giusto trattare gli altri come mezzi per raggiungere i propri obiettivi. Il paradosso della sua condizione è dunque quello di un destino di solitudine senza speranza. 



Anche quando diventa un personaggio di potere il narcisista, a ben guardare, è dipendente dagli altri che devono ammirarlo, servirlo, lasciarsi usare da lui. E i suoi sudditi colorano di identificazione e dipendenza, a loro volta, il proprio narcisismo, vivendo di luce riflessa. 


John William Waterhouse, Eco e Narciso, 1903
A volte penso che è come se fossimo regrediti a cornici antropologiche di tipo monarchico. La figura che si ripresenta alla mente è quella di un uomo solo, con propensioni populistiche, capacità comunicative e determinazione, di fronte all'enorme massa dei vocianti scontenti; cioè di quelli che sostituiscono la pancia alla capacità critica e la paura alla generosità. Lui, quasi come un attore, strizza l'occhio ai suoi spettatori passivi e stupefatti e ammiccando li gratifica con una battuta o una barzelletta, li fa sentire importanti e poi ancora li solletica nei loro abissi emozionali di egoismo che vengono presentati  come la vera,  naturale e immodificabile essenza di tutti gli esseri umani.
Un vincente con il quale identificarci è ciò che ci vuole per ingannare la paura e tacitare l'inquietudine, il dubbio e la domanda. Alla fine, però, in un mondo sempre più abitato da Narcisi, non ci saranno né vinti né vincitori, ma solo la distruzione progressiva di ogni forma soddisfacente di relazionalità.  
  
Il fiore che nacque, secondo il mito, dal sangue di Narciso. 
E' sbagliato  pensare che se non si è narcisisti in cerca di sudditi e nemmeno sudditi dipendenti da un leader narcisista la mutazione antropologica che mi sembra di intravedere non ci riguardi. Essa è così profonda e devastante che inquina tutti. Ci propone, infatti, idee talmente grandiose anche dei rapporti e dell'amore che non siamo più capaci nemmeno di vivere i legami reali nell'intreccio di luci e ombre che li definisce, ma sprechiamo la vita rincorrendo modelli ideali irraggiungibili. 

lunedì 10 febbraio 2014

L'abisso della disumanità


Anna emigra con la sua famiglia dalla Sicilia in Uruguay a quasi due anni di età. Giovane studentessa viene imprigionata e torturata all’epoca nella quale l’America Latina è segnata da dittature feroci e dalle loro mostruosità.
Prigionieri politici nel grande stadio di Santiago del Cile  - 1973
I suoi ricordi si interrompono a questo punto e ricominciano con la sua liberazione. Un campo, il temporale, la libertà. Ma la paura e l’angoscia le restano cucite addosso come un vestito stretto e bruciano le sue carni come il peplo avvelenato di Medea. In un romanzo autobiografico racconta le tracce di quella sua lunga, nera esperienza dell’abisso. Le ha riscattate, attraverso gli anni, dall’oblio dell’indicibile, consapevole che ricordare avrebbe rappresentato il primo passo per riprendersi quello che le era stato atrocemente strappato: la sua giovinezza, la fiducia nell’umanità, i sogni.
Le madri di Plaza de Mayo in una manifestazione del 1982.

L’ho conosciuta alcuni anni fa, a Firenze, dove allora lavoravo. Anna è una donna intelligente e forte. E’ piccolina, graziosa e gentile. Si fa ancora più fatica, nel vederla così esile, a pensarla fragile e indifesa in balia dei propri aguzzini. Il romanzo nel quale racconta l'abisso della disumanità è un testo delicato e intenso che libera un urlo lacerante, non di vendetta, ma di desiderio di giustizia. Anna continua a lottare per il suo sogno di un mondo migliore e perché la cultura della morte e della distruttività venga sconfitta da quella della vita, della creatività e dell’autoeducazione. Insieme abbiamo condiviso, per un anno, un piccolo progetto che aveva questi colori e da quel percorso è nato un legame di stima reciproca e di affetto.

Nuvole minacciose a Tirrenia - 2010

Del libro di Anna ho parlato in una delle lezioni del mio corso di due anni fa, incentrato sulla tematica del conflitto. Avevo infatti in programma anche due testi sulle violenze collettive e sul loro uso politico in condizioni di guerra, all’interno di regimi totalitari o in relazione ad atti terroristici. La tortura, fisica o psicologica, è un correlato essenziale di tali violenze e ha un effetto devastante sulle persone e sulle comunità che deve essere conosciuto per comprendere le dinamiche di costruzione del dominio e prevenirne i guasti individuali e collettivi. Perché esiste un intreccio tra il trauma personale, consumato nelle dinamiche intime, e quello sociale o politico,  vissuto come membri di una comunità. Per questo non basta sconfiggere un leader o un dittatore, ma bisogna lavorare sui danni che ha generato e primo tra tutti la rottura della sicurezza di esistenza e del valore della condivisione solidale e della lealtà, perché l'aspetto centrale di ogni dittatura è quello della creazione di un clima di sospetto e sfiducia generato anche alimentando le paure individuali più profonde. 
Qui un'intervista di due giorni fa ad Anna Milazzo insieme a Vera Vigevani, delle madri di Plaza de Mayo.

Papaveri - Primavera 2013
(E' così bello e colorato il mondo e sembra impossibile
che esistano uomini capaci di tanto orrore)

domenica 9 febbraio 2014

Una domenica


Quando ero piccola la domenica era scandita da precisi rituali.
Discesa giù dalla chiesa di Montecatini Val di Cecina. 
Fa parte di una serie di foto scattate in corsa e comunque,
 i ricordi, sono sempre un po' tremolanti e vaghi. 
Noi bambini a mezzogiorno in punto si sciamava contenti dalla discesa della chiesa al suono delle campane a festa. C’era la tavola con una tovaglia più bella e di certo avremmo mangiato le patatine arrosto. Avevamo fretta di essere a casa e poi, appena varcata la soglia, fretta di poterne di nuovo uscire, di ritrovarci tra simili, di scambiarci confidenze segrete, di meravigliare i più piccoli e di farci meravigliare dai più grandi.
Luoghi di fuga
Montecatini Val di Cecina 
Mi rivedo sempre che correvo di qua e di là; anche su per le salite più ripide, correvo. Avevo le ginocchia sbucciate per le cadute e le gambe graffiate perché mi infilavo tra i rovi con quell’urgenza di vivere che mi rendeva assolutamente inaffidabile quanto a obbedienza.
La mia scuola elementare, ora in abbandono.
Montecatini Val di Cecina
A volte mi nascondevo da qualche parte e ascoltavo la voce di chiunque mi chiamasse, la mamma o i miei compagni, con la stessa apparente indifferenza e immobilità. Mi piaceva sorprenderli e restavo nascosta il più a lungo possibile, prima del momento esatto in cui la gioia per il mio riapparire avrebbe potuto trasformarsi in un sentimento negativo.
Luoghi di fuga
Montecatini Val di Cecina
Questa che volge alla fine è una domenica come tante, forse un po’ più pigra di altre. Non sparecchio subito, non stendo i panni subito, non ripongo subito le carte ammucchiate che avrei voluto mettere a posto stamani. Mi assopisco sul divano, invece, incoraggiata dal ronfare di uno dei due mici. Non sono abituata a dormire dopo pranzo e deve essere per questo che lì per lì, svegliata di soprassalto da un rumore proveniente dal piano di sopra, mi stupisco un po’ di essere qui e non altrove. Non ci sono i bambini (i miei amici, voglio dire) e non riconosco l’odore della casa né ciò che vedo dalle finestre.
Avevo stabilito di prendere una decisione, oggi. Non una decisione ufficiale, formale. Una decisione vera, però, solenne, di quelle che riguardano qualcosa dentro di sé, ma che non si devono nemmeno comunicare a qualcuno. Una decisione di quelle che ci fanno stupidamente chiedere al destino di darci un segno per capire. Quella decisione l’ho presa, nel lento oziare di questa domenica come tante. Senza fare rumore, senza che nessuno se ne sia accorto. Le decisioni importanti non vogliono suoni di fanfare, ma hanno bisogno di coraggio. Per trovarlo la cosa migliore è sempre quella di lasciarsi avvolgere un po’ dalla malinconia.
Finestra di camera mia
Montecatini Val di Cecina