Gli alberi davanti alla casa non hanno che poche, piccole gemme. Bisogna girare attorno e dietro, al riparo dal vento, per trovare quelli fioriti.
Proprio dietro la casa mio padre, dopo che era andato in pensione, aveva cominciato a coltivare per passione un paio di strisce di pomodori, i carciofi e i baccelli, le zucchine, un po’ di cipolle, un po’ di insalata, qualche zucca gialla che esteticamente faceva la sua bella figura. Tutto in quantità ridotta, perché la terra è poca. Lo faceva per la soddisfazione, come diceva lui.
Da diversi anni, ormai, non coltiva più niente.
Mia
madre, invece, pensava ai fiori.
Nessuno di noi figli si è mai dedicato alla
terra. Noi ci siamo sempre limitati a raccogliere e consumare quello che
piantavano e curavano loro, senza mai avvertire un particolare interesse.
Ora, invece, scopro che mi sono cari certi piccoli angoli riparati nei quali crescono persino un po’ di funghi pinaioli, quando è il tempo, e a primavera le violette in mezzo all’edera e alle margherite. La forsizia gialla già tutta fiera e gli iris, che fioriranno più avanti, e il corbezzolo selvatico preso chissà dove, mi ricordano chi li aveva piantati.
Così la piccola panchina o lo spazio nel quale con la griglia gigante si preparavano la carne e le verdure per tante persone mi ricordano tutti quelli che nel tempo sono passati da qui e hanno riempito la casa di voci e di risate, godendo il piacere del buon cibo e del vino condivisi.
In certe occasioni tra nonni, zii, cugini e altri parenti eravamo tantissimi, anche trenta persone. Così, quando è smesso di piovere e prima di venire via, sono salita dietro, affondando nel fango acquitrinoso e scivoloso, e per curare la piccola vena di nostalgia che si stava sempre più impadronendo di me mi sono messa a fotografare i nuovi fiori.
La primavera, in fondo, ci piace perché ci ricorda che le esperienze importanti non si perdono mai, ma si ritrovano, prima o poi, magari nascoste sotto mutate vesti.
Ora, invece, scopro che mi sono cari certi piccoli angoli riparati nei quali crescono persino un po’ di funghi pinaioli, quando è il tempo, e a primavera le violette in mezzo all’edera e alle margherite. La forsizia gialla già tutta fiera e gli iris, che fioriranno più avanti, e il corbezzolo selvatico preso chissà dove, mi ricordano chi li aveva piantati.
Così la piccola panchina o lo spazio nel quale con la griglia gigante si preparavano la carne e le verdure per tante persone mi ricordano tutti quelli che nel tempo sono passati da qui e hanno riempito la casa di voci e di risate, godendo il piacere del buon cibo e del vino condivisi.
In certe occasioni tra nonni, zii, cugini e altri parenti eravamo tantissimi, anche trenta persone. Così, quando è smesso di piovere e prima di venire via, sono salita dietro, affondando nel fango acquitrinoso e scivoloso, e per curare la piccola vena di nostalgia che si stava sempre più impadronendo di me mi sono messa a fotografare i nuovi fiori.
La primavera, in fondo, ci piace perché ci ricorda che le esperienze importanti non si perdono mai, ma si ritrovano, prima o poi, magari nascoste sotto mutate vesti.
Bella questa testimonianza di vita,leggendo mi sono ritrovata nelle tue parole.Anche mio padre dopo essere andato in pensione si dedicava ad un orticello e ad un piccolo allevamento di conigli.Lo ricordo così mentre annaffiava le piantine o ne raccoglieva i frutti e coi suoi conigli che curava amorevolmente...una parte di me è là,in quell'orto dove la natura viveva amata e felice di dare i suoi frutti,oggi è tutto così lontano e irraggiungibile...
RispondiEliminaVado un po' fuori tema, ma solo un pochino: da brava cittadina sedentaria, soprattutto nella giovinezza, collegavo la primavera al rito della preparazione e della condivisione della pastiera. Quel dolce per me racchiudeva tutta l'energia del risveglio della natura e la ricchezza delle sua manifestazioni. Il grano, le uova, i fiori d'arancio, tutto richiamava alla mente il fasto di un rito pagano della rinascita. Affascinante.
RispondiEliminaNon sei fuori tema per niente...
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