Florence Harrison, Mariana |
Mattinata casalinga dedicata a mettere in ordine, cioè buttare via
qualcosa, senza dispiacersene e senza lasciarsi andare al pigro “potrebbe
sempre servire”. Intanto si può ascoltare della musica e fare posto a nuovi
fiori, profumi e giochi; e anche guardare
il sole e affacciarsi al balcone, sul viavai colorato dei trolley e delle
sciarpe di chi va e di chi torna.
Da ragazza non capivo certe catene di frustrazione che le persone si infliggono. Ora, invece, a volte provo rabbia, altre tenerezza e persino un po’ di
pena. Molti cercano soluzioni facili per le loro paure, pillole o percorsi velocizzati, pur di
non guardare dentro di sé.
Mettere in ordine significa, in realtà, disordinare. Significa rivedere ciò che si dava per sicuro, compresi certi sentimenti assoluti, certi stupori. Mettere in ordine presuppone varcare porte, affacciarsi senza paura anche nell’abisso del non senso e del banale. Significa, a volte, leggere in una notazione
meteorologica quel che davvero rappresenta e cioè la mera esposizione di un dato di
fatto e non una metafora o una poesia. Ci si sente un po’ più soli, all’inizio,
riordinando; cioè disordinando per sistemare in un altro modo cose, affetti e persone.
Poi si prende confidenza con il disordine e si volta la testa dove non avevamo
guardato abbastanza. Niente fanfare o fuochi d’artificio: basta solo avere il
cuore libero di disordinare per poterlo aprire.
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