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Castello Pasquini a Castiglioncello, dicembre 2014 |
Ieri
ho visto di nuovo Estragone e Vladimiro, rapita dalla particolare lettura alla
quale ho avuto il piacere di assistere, nel buio della saletta raccolta di un
luogo familiare e bello come Castello Pasquini.
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Passeggiata "Alberto Sordi", Castiglioncello, dicembre 2014 |
Non accade nulla. Non accade nulla per due volte. Eppure, Aspettando Godot, è forse una delle opere
teatrali più note del 900. Ed è anche, credo, tra le più complesse da
interpretare, sia per chi lo fa come critico sia per chi lo fa come
attore. Io non sono né l’una né l’altra cosa, però amo il teatro e mi occupo da
molti anni - in un’altra fase della mia vita a diretto contatto - di soggetti autistici
e psicotici, del mondo della disabilità
nelle sue variegate espressioni e di quello della follia. Per questo sono rimasta piacevolmente stupita,
ieri, nell’assistere a uno spettacolo che ancora spettacolo non era, quanto
piuttosto, come dice il regista Maurizio Lupinelli, uno studio di spettacolo. Qui il link.
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Castiglioncello, dicembre 2014 |
Interrogato
tante volte perché disvelasse l’identità di Godot, Samuel Beckett, si sa, finalmente rispose, non so se più piccato o seccato, che se l’avesse saputo l’avrebbe
scritto nel copione. Si è cercato troppo di sovrainterpretare quest’opera, l’abbiamo
caricata di un simbolismo esasperato e infine assimilata al teatro
dell’assurdo, inteso come messa in scena del surreale, ma sarebbe bastato immergersi, anche solo
per un giorno, nel mondo della follia dei manicomi, e di
quest’opera sarebbe stato possibile percepire tutto il doloroso e lucido
realismo. Nei manicomi i folli girano in cerchio, ricalcano i propri passi. In
cerchio, come in un eterno presente di sospensione. E ripetono ecolalicamente
le solite frasi attimo dopo attimo, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Spesso
si tratta di domande che riguardano il tornare a casa; con la stessa frequenza e intensità drammatica, però, le domande riguardano il quando arriva qualcuno.
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Castiglioncello, dicembre 2014 |
Come l'acqua del mare che si frange sugli stessi scogli e li carezza, si allontana e ritorna, incessantemente, le domande dei folli restano sospese
nell’aria perché, in fondo, che Godot sia qualcuno o nessuno non cambia niente. Qui si tratta
dell’attesa dilatata e messa in scena nella danza delle stereotipie motorie
psicotiche e del dondolarsi avanti e indietro, proprio del tipico autocullarsi all’infinito
che i medici hanno chiamato “rocking”. Cullarsi, anestetizzarsi, consolarsi e
aspettare che tutto passi; non diversamente, in fondo, da chi abita il territorio della
quasi normalità, cioè noi, quando proviamo un forte dolore o una forte gioia. Ci lasciamo andare a uno stesso ritmo binario per la ninna nanna o per la disperazione.
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Castello Pasquini, Castiglioncello, dicembre 2014 |
Ecco perché, e sembra paradossale, interpretare Beckett, sia pure rivisitato e per frammenti, da parte degli attori che ho visto ieri in scena, può sembrare quasi
naturale, semplice, familiare. Anche se il lavoro di preparazione è stato invece
sicuramente complesso, lungo e faticoso.
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Castiglioncello, dicembre 2014 |
Il
percorso laboratoriale di Maurizio Lupinelli e della Compagnia Nerval Teatro è
iniziato nel 2006. Di questo percorso ho ancora impresso nella mente il
bellissimo Marat, tratto
liberamente da Marat-Sade di Peter Weiss,
con tantissimi protagonisti, persone con
disabilità di diversa natura e di età differenti.
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Castiglioncello, dicembre 2014 |
Era il 2007 e lo
ricordo perché ne avevo scritto, allora, all’interno di un articolo più ampio
sul disgregarsi della cultura e sull’enorme ingiustizia esercitata dal potere
mediatico nel dare risalto o nel condannare al silenzio le opere teatrali,
letterarie, musicali o cinematografiche contemporanee.
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Castiglioncello, dicembre 2014 |
Ne riporto la parte specifica:
“A
febbraio, a Castiglioncello, va in scena Marat
(dal Marat-Sade di Peter Weiss): la
drammatizzazione dell’omicidio di Marat a opera dei ricoverati nel manicomio di
Charenton guidati dal Marchese de Sade, folle tra i folli. Regista e
drammaturgo è Maurizio Lupinelli, sul palco insieme a una cinquantina tra
attori professionisti, operatori della riabilitazione e, soprattutto, soggetti
disabili psichici o psicofisici, non pochi dei quali prigionieri, nell’uso
delle parole, della difficoltà di articolazione o di alterazioni stereotipate
dell’espressività locutoria.
Anche
in questo caso mi guardo intorno, nel buio, quasi a spiare i volti degli altri
spettatori. Non so come accada, ma percepisco che ci sentiamo vivi: attraverso
le parole di chi si muove nello spazio scenico, anche se ci arrivano talvolta
un po’ deformate; attraverso la prosodia che le accompagna, ora quasi
cantilenante, ora, invece, quasi meccanica, aspra, scarna; attraverso le
espressioni del volto che si trasmutano in smorfie e rapidamente si
ricompongono nelle maschere consuete della normalità; attraverso le nude
sillabe o le frasi ripetute; attraverso i gesti e gli occhi in quel loro
rivolgersi verso di noi quasi cercando il riconoscimento di esistenza nello
sguardo ricambiato. Osservo i miei simili, nella penombra che confonde i
contorni dei corpi e delle cose: tutti quanti ci sentiamo percorsi da brividi
di sensazioni forti o dal ricordo nostalgico di teneri struggimenti. Non c’è
alcuna retorica in questa rappresentazione della diversità che ci fa sentire
tutti differenti e nello stesso tempo uguali gli uni agli altri: carnali
nell’intensità della rabbia e della gioia, nel trascorrere dall’uno all’altro
delle emozioni, nell’ammutinamento della mimica o nella sua esasperazione.
Ognuno di noi è spettatore e attore insieme, perché tutti veniamo catapultati
nella dimensione formativa dello spaesamento; ci sentiamo prendere per mano e
ci lasciamo stupire, disponibili, finalmente, ad attraversare l’ignoto. Nessuna
fanfara mediatica, temo, racconterà mai tutto questo.”
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Castiglioncello, dicembre 2014 |
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