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Ieri, da casa dei miei. |
Una data non significa niente, mi dico. E poi è un numero
persino brutto, dal punto di vista grafico. E’ il terzo anno che questa data
non si festeggia più e che alzandomi, la mattina del cinque gennaio, cerco di
credere davvero che una data non significa niente. Ecco che preparo il cibo per
i due mici che già mi si strusciano alle gambe e che ogni mattina - e perciò
anche questa, una data non significa niente – aprendo la porta della mia camera
trovo già lì; in attesa, ma silenziosi.
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Blu è quella a sinistra e Ulisse quello a destra. Guardano perplessi una sconosciuta che scuote qualcosa dalla finestra |
Rispettano il mio sonno e perciò anche
stanotte non mi hanno svegliata; una data non significa niente.
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Ulisse in primo piano e Blu nello sfondo, pensosa. |
Poi mi preparo
la colazione consueta, il primo caffè, una fetta di torta, lo yogurt - stamani
con l’aggiunta di pinoli e di miele – e mentre la moka borbotta il suo
buongiorno apro gli avvolgibili e lascio entrare il sole; metto su anche la
lavatrice, perché una data non significa niente. Caricando il detersivo
nella vaschetta l’odore mi riporta immediatamente indietro nel tempo. Non di
molto, di poco più di tre anni. L’odore di una camera di ammalata per me è un
misto tra quello dei disinfettanti e quello dell’acqua di rose con la quale mia
sorella cercava di sovrastarlo, imbevendone un batuffolo di cotone e
massaggiandole il volto delicatamente.
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Rapunzel, Emma Florence Harrison |
Mi dico che non ci devo pensare e cerco
di fare programmi allettanti per la giornata, ma ogni piccola cosa mi genera
una catena di idee che mi riportano sempre al solito punto di partenza: a una data, questa; e ogni associazione di
pensieri, di sensazioni olfattive e di immagini è una specie di pugno allo
stomaco. Mi viene in mente che ho la sua cuffietta di nascita, piccolissima,
perché era gemella e dunque sottopeso. Ce l’ho perché mi ha seguito nei vari
traslochi con la bambola alla quale da bambina l’avevo fatta indossare, ma ora
che la bambola si è frantumata sotto il peso degli anni non so più dove l’ho
messa e con l’ultimo recente trasloco non è l’unico oggetto che ancora non
trovo. Mi preparo il secondo caffè, lo porto sul tavolo e accendo il
computer accingendomi a scrivere che una data non significa niente; lo faccio, credo, per fare
uscire la tristezza da dentro e condividerla con qualcuno, non posso sapere chi, che leggerà e che di sicuro ha provato qualche volta sentimenti simili. Lascio anche entrare nella mente l'immagine che ho cacciato indietro ieri e nei giorni precedenti: la sedia vuota nei giorni di festa. E penso che devo andare
avanti e sorridere, anche se un po’ più sola, un po’ più sperduta.
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Agrigento, tra gli aranci, tre o quattro anni fa. |
Non se n'è andata.
RispondiEliminaC'è sempre.
È solo un po' più complicato "vederla", perché il nostro cervello e la nostra memoria possono solo "lavorare" in un certo modo. Ma lei c'è. E magari in un qualche altro modo riesci pure a relazionarti con lei.
E hai ragione: le date non significano niente per il nostro essere, ma solo per il nostro corpo. Le date sono solo accidenti astronomici di una stella ai confini di una galassia ai confini di un universo.