John William Waterhouse, Studies for a Mermaid, 1892 |
“Sei la migliore sconfiguratrice che abbia mai conosciuto”. Così, più o meno, mi è stato detto non molto tempo fa utilizzando un neologismo del quale forse, prima o poi, si sentirà la mancanza. E in effetti il termine descrive bene il mio rapporto con il mondo dell’elettronica, che è fatto di curiosità e apertura, ma anche, ahimè, di impulsività.
Se qualcosa non funziona o non va come voglio io comincio a cliccare compulsivamente e a intuito (un modo nobile di dire “a caso”) finché la cosa non si sistema oppure l’oggetto non si sconfigura parzialmente e a volte anche del tutto.
Mi piacciono i neologismi e ne ho sempre inventati, fin da piccola.
Sono neologismi consapevoli e questo li differenzia da quelli prodotti dai bambini, che in genere li inventano applicando rigidamente alcune regole morfosintattiche e producendo i tipici buffi termini che ci fanno sorridere. I neologismi inconsapevoli del bambino sono frutto di intelligenza, ma non hanno niente di creativo.
Ne producono molti anche le persone affette da schizofrenia e così i soggetti autistici. In questo caso, forse, sono l’esito di un sorta di scissione tra i due aspetti che caratterizzano la parola: il suo essere portatrice di un significato e il suo essere una forma sonora, un significante. L’aspetto sonoro viene separato dal suo significato e diventa prosodia pura che veicola emozioni, ma non concetti o pensieri.
Anche per il neonato è così: le parole che gli giungono sono puri suoni che comunicano approvazione o disapprovazione, calore o freddezza. In questo senso si può dire che nasciamo prima alla musica, poi alla parola. O, almeno, a me fa piacere pensarlo.
John William Waterhouse, Sirena, 1900 circa |
Anche per il neonato è così: le parole che gli giungono sono puri suoni che comunicano approvazione o disapprovazione, calore o freddezza. In questo senso si può dire che nasciamo prima alla musica, poi alla parola. O, almeno, a me fa piacere pensarlo.
Creare neologismi o apprezzarli è un’attività di confine. In questo caso si tratta del confine, inafferrabile e fluttuante, che divide la condizione infantile e quella adulta o la normalità dalla follia.
A me, però, piace proprio abitare confini così; pensare, cioè, che per quanto due territori siano distanti, è sempre possibile stabilire una relazione, ibridarsi di diversi linguaggi e perciò provare a intessere dialoghi ritenuti impossibili. Sono adulta da tempo, ma non ho mai smesso di giocare, soprattutto con le parole.
La migliore sirena resta quella di Sartorio vista alla mostra del Liberty a Forlì.
RispondiEliminaSono d'accordo!
Eliminacara Antonella... tento ancora una volta! sono pienamente d'accordo che le parole per i neonati ma anche per i bambini piccoli sono soltanto suoni con significati solo emotivi: lo vedo con la mia nipotina più piccola, due anni, alla quale parlo in italiano e lei, con sorpresa di tutti, mi capisce! Non é lo stesso per gli animali? Io continuo a pensare che sono come bambini piccoli che non diventano mai adulti e il loro rapporto col linguaggio umano e lo stesso. Che ne dici?Ada
RispondiEliminaCredo che anche gli animali capiscano il nostro linguaggio sonoro solo attraverso la prosodia, come i bambini piccoli, anche se, invece, li vedo diventare adulti e in qualche modo responsabili...Anche noi comprendiamo allo stesso modo il loro linguaggio, che osservando bene è molto più complesso e articolato di quello che sembra. Di una mia gattina ho contato circa 20 diversi miagolii con relativi significati! (Degli altri un po' meno...)
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