Bozzetto di Adolf Hohenstein per la prima assoluta di Bohème, al Teatro Regio di Torino, nel 1896. |
Ancora
poco e Mimì morirà, non senza avere dichiarato, finalmente, quant’è grande il
suo amore che è grande come il mare, profondo e infinito…
Ecco, però, che il direttore si ferma e con lui la musica e i cantanti,
sul palco, si immobilizzano per un tempo che sembra irreale. Colline ha già detto addio alla sua vecchia zimarra e noi siamo arrivati quasi al culmine del pathos, incoraggiati anche dalla bellissima scenografia e dalla regia
attenta di Ettore Scola.
Colline d'epoca in una cartolina (sempre d'epoca) |
Cartolina d'epoca stampata da Ricordi, primi del 900 |
Ma ecco che entrano in scena quattro o cinque signori,
vestiti in blu e gallonati con degli scudetti e altre insegne sulle maniche e forse
anche altrove (mi sono scordata il binocolo), che portano, come fosse un rito di
processione solenne, un grandissimo telo di nylon e si avvicinano al centro
della scena.
Altra cartolina della serie stampata da Ricordi, primi 900. |
Tutti e 3000 e più, attoniti, fissiamo Mimì che si alza, come una resuscitata, dal suo
letto di agonia e a piccoli passi svelti e graziosi esce di scena. Che sarà? Un "insolito vigor", prima della morte, come capita a Traviata? Escono subito dopo di scena anche Rodolfo e gli
altri, mentre i bluvestiti&gallonati portatori di nylon depongono con solenne lentezza tale velo,
di materia non nobile, sulle coltri e i cuscini e si allontanano anch’essi. Finalmente ci viene annunciato che si
tratta di aspettare per essere sicuri che non piova, dato che sembra esserci una minaccia. Guardiamo
il cielo…Mah, eppure non piove...
Poi, ecco che il palcoscenico si anima di nuovo. Ritorna Mimì, si sdraia per
fare la moribonda e il pubblico (e anch’io) ride e allora lei, spiritosa, fa un
cenno di saluto - elegante - con il
braccio alzato, poi si accascia, avvolgendosi di nuovo nei sintomi della tisi che la
consuma. Rodolfo la copre e anche lui si immedesima di nuovo in se stesso e si
inginocchia al capezzale dell’amata.
Ma come si fa, ora, a ricreare il pathos?
Ormai è tutto rovinato! Invece no. Mimì muore come al solito, ma non prima
che Rodolfo le sussurri che è bella ancora, bella come un’aurora e lei gli
risponda che ha sbagliato il raffronto e che, caso mai, potrebbe essere
definita bella come un tramonto.
E noi, e anch’io, tutti lì con gli occhi
lucidi che non riescono, almeno i miei, a trattenere le lacrime (catartiche, ma
silenziose, tranquilli) quando Rodolfo si china su Mimì che non può più sentirlo e poi si rialza e la
chiama ancora, inutilmente, urlando al cielo la sua rabbia e il suo dolore.
Il pianto
e il riso sono legati in un nodo inestricabile e sono davvero sciocchi quelli
che li confinano in territori del tutto separati. In quel nodo, che non bisogna cercare
di disgiungere, sta, forse, il segreto della felicità.
Immaginandomi la scena mi viene da sorridere al pensiero di questo entrare e uscire tra le cornici. Fa riflettere.
RispondiEliminaA me piacciono moltissimo le incursioni di un linguaggio nel suo metalinguaggio, ma solo quando sono volute (come nei paradossi) o cercate (come nei quines) o comunque studiate e ricercate.
RispondiEliminaQuindi io mi sarei messo a ridere e avrei continuato così fino alla fine. Per me uno stop per pioggia, oppure una giraffa con il suo microfono che entrano in scena durante un film rovinano definitivamente il pathos. Non so cosa farci.
In effetti, di solito, anche a me in uno spettacolo il pathos viene rovinato da un'incursione estranea e la giraffa in scena, poi, è una cosa che mi fa togliere credibiità a qualsiasi film. E' un caso che ieri sera non sia andata così. O forse è per il particolare tipo di spettacolo, l'opera, che si muove sempre in bilico tra qualcosa e qualcos'altro. Io ne ho solo tratto spunto, per associaizone di idee, per dire che credo importante cercare di tenere in dialogo le due dimensioni della tristezza e della gioia nella vita. :)
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