sabato 14 settembre 2013

Shame

Orgasmi disperati, urlati con rabbia, distanti dal piacere sessuale amoroso che è reciprocità, sguardo ricambiato, riconoscimento tra mille di quell’unica carezza, di quell’unico bacio, di quell’unico seno, di quell’unico pene, di quell’unico profumo. E non importa che sia unico per la vita; è cosa rara; ma unico per un tempo ragionevole, lungo quanto basta per costruire un amore e attraversarlo, anche fino alla fine della vita. Invece qui, signori e signore, si entra nel mondo della serialità. Il protagonista è affetto da sindrome di dipendenza da sesso. Ma non a caso la colonna sonora (bellissima nel suo insieme) vede il frequente irrompere di Bach. Perché in una sorta di contrappunto psichico accanto a lui si muove una donna, la sorella, estremamente dipendente dal punto di vista affettivo rispetto agli uomini. E’ un film bello, profondo, duro, perché adombra che la sindrome non sia che l’estremizzazione, portata al suo compimento, di un modello di sessualità ritenuto normale. Il sesso come consumo, separato dall’amore o, al massimo, mascherato da amore, colorato di voracità che spinge a cercare sempre nuovi partner. Ma che differenza c’è, alla fine, tra il consumo di sesso e il consumo di alcool, ingerito velocemente perché ci bruci dentro e poi ci stordisca, o di cibo, trangugiato senza neanche apprezzarne il sapore, o di oggetti di consumo, di scarpe, abiti, cellulari del nuovo modello? E poi c’è dell’altro nel film. Perché il sesso così, compulsivo, alla fin fine è controllato e soprattutto è controllata la dimensione sentimentale: non c’è da temere niente, abbandoni o perdite, perché le persone sono interscambiabili. L’uomo del film ha un lavoro, è affermato e stimato. Perché il sesso così vissuto si coniuga bene con un modo ossessivo e perfezionistico di vivere la vita in generale e la dimensione professionale in particolare: non la ostacola perché non chiede; le lascia spazio perché non si frappone, non ha un prima e non ha un dopo, non prevede condivisioni di altro. La mano che si muove freneticamente nell’atto della masturbazione, che prende l’iniziativa indipendentemente da testa e da cuore, nella doccia o sopra la bocca spalancata di un water, ne rappresenta la grottesca metafora. E il corpo finisce per non aver più linguaggio se non quello asettico e impersonale della reiterazione.

1 commento:

  1. E' un film di solitudine. Anche a me è piaciuto molto.

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