sabato 28 settembre 2013

Di donne, di ‘ndrangheta, di coraggio




E’ stato un bel pomeriggio. 

Uno di quelli che ti fanno vedere ancora uno spiraglio di possibile cambiamento. 

E' stato molto piacevole conoscere persone come Francesca Prestia e Paolo De Chiara, entrambi impegnati generosamente in una personale battaglia, di denuncia e di educazione.

Francesca è una cantastorie e racconta le donne della sua terra, la Calabria, e la doppia violenza che spesso subiscono: quella della ‘ndrangheta e quella dell’omertà e del dispotismo dei maschi della propria famiglia. Francesca gira l’Italia e le scuole con le sue canzoni e le sue immagini. Sulla biografia di una delle donne che Francesca racconta al mondo, una che aveva osato ribellarsi andando consapevolmente incontro alla morte per mano di un gruppo di uomini d’onore, capeggiati dal suo compagno, è incentrato il libro di Paolo che abbiamo presentato ieri sera: “Il coraggio di dire di no. Lea Garofalo, la donna che sfidò la ‘ndrangheta.” 


Si parlava, ieri, del filo invisibile che lega i delitti di ‘ndrangheta e i femminicidi. Una sporca faccenda tra maschi in entrambi i casi. E le donne, deputate a dare la vita e a piangere la morte, costrette a scegliere tra il ruolo di eterne bambine da proteggere o quello di Grandi Madri. Oppure destinate a essere ridotte, e per sempre, nella maniera più cruenta e plateale possibile, al silenzio. Le donne che denunciano il proprio compagno o marito violento restano di fatto abbandonate proprio come i tantissimi che ribellandosi a organizzazioni di tipo mafioso vengono protetti dallo stato, ma proprio così costretti a una custodia che di fatto significa una diversa prigionia e un ancor più doloroso isolamento relazionale e sociale.


Siamo rimasti molto oltre l’ora prevista per il termine e le persone sedute tra il pubblico avevano gli occhi lucidi di commozione e di rabbia. Noi da quell’altra parte della sala parlavamo, ognuno con la propria inflessione, con il proprio stile, con il proprio tono di voce, ma tutti accomunati da una medesima passione, dallo stesso desiderio di giustizia e verità e dalla determinazione di non arrendersi mai alla prepotenza. 


Francesca raccontava cantando, con quella sua voce potente e calda, ora quasi sussurrando nella ninna nanna della madre alla figlia, ora urlando nel grido di speranza di Miraf, la profuga eritrea alla quale la madre, nell’addio di lacrime e odore di mare, aveva raccomandato di guardare avanti, verso vasti orizzonti e verso il cielo, perché con il tempo tutto passa.







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