venerdì 6 settembre 2013

Lettera da una sconosciuta

Quanto tempo sarà passato dall’ultima volta che l’ho visto? Il film, del 1948, è di Max Ophuls ed è tratto da un racconto di Stefan Zweig. Si ambienta, infatti, nella Vienna dei primi del 900, una città che mostra il volto contraddittorio della decadenza e della ricerca spasmodica di felicità gaudente e superficiale. I valzer, la sachertorte e le feste scintillanti di cristalli, di lampadari, di specchi e calici e diademi e bracciali e orecchini e gemelli ai polsi: tutto un luccicare, un brillare, un rimandare luce a luce, rifrangerla e moltiplicarla per cento, poi per mille in un vorticoso ridere e inebriarsi per non contattare mai l'ombra, il vuoto, l'attesa  e l'incertezza. E tutto attorno, simbolicamente invalicabile più della cinta muraria alla quale era stata sostituita, la Ringstrasse, enorme vetrina circolare di palazzi magnifici e imponenti, a segnare il crinale tra l’antica città, sede dell’impero, e l’enorme, brulicante suburbio dei disgraziati e degli scontenti. 


E' un film struggente e poetico sul dolore per le occasioni mancate, per quanto ci lasciamo sfuggire come sabbia tra le dita, per il colpevole non riconoscimento dell’amore quando ce l’abbiamo a portata di mano e basterebbe poco, un gesto o una parola per fermare l’attimo e dilatarlo all’infinito: il battito di ciglia e il sospiro trattenuto e le confidenze, sdraiati vicini nella penombra dei pomeriggi estivi e le risate lievi e condivise. Perché questo è l’amore e l’amore è raro, mentre solo l’infatuazione o l’abitudine compiacente che conferma e rassicura sono ordinari e frequenti.

 


E' il ricordo delle prime antiche carezze che torna a visitarci, l'amore, e delle nostre piccole palpebre abbassate a impedire lo sguardo per lasciarci avvolgere del tutto da un profumo familiare e caro, da un abbraccio destinato a ripresentarsi nel corso della vita e del quale avremo, forse, anche un po' paura, e per timore di perderlo lo getteremo, chissà, senza riconoscerlo.

2 commenti:

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