domenica 13 luglio 2014

Il calcio e la dea Eupalla.


Gerardo Dottori, Partita di calcio, 1928

No, non dirlo, che poi pensano che sei una snob! O una che vuol provocare... O una persona rigida e ideologica, tutta razionalità... Non scriverlo, continua il tuo lavoro e non entrare nemmeno, in rete! Mi ripeto frasi del genere da stamani, ma ora, invece, ecco qua: finalmente, con stasera, finiscono! Finiscono i mondiali, che da giorni hanno la supremazia su tutto, sulla povertà in crescita esponenziale o sulle guerre o sulle stragi di bambini e persino sulla cronaca nera.

Giulio D’Anna, Interno futurista, 1930
Ho maturato nel tempo un senso di insopportabilità per il tifo che non riesco a elaborare, tanto meno a reprimere. Un po’ perché mi sembra che ormai il calcio sia tutto mercato e poco gioco, ma c’è qualcosa di più, una trasversalità del sentire che mi genera disagio, un “noi” e “loro” che trovo distanti dalla mia sensibilità. Quelli che capisco meno, poi, sono i tifosi (da sinistra) dei perdenti, cioè molti miei amici e conoscenti. L’Italia è fuori e allora, per non entrare in dimensione “orfanitudine”, ci si inventa una causa nobile: tifare per chi (forse) gioca male purché sia un paese povero o il suo presidente sia un ganzo, e dunque si meritino, paese e presidente, la vittoria.
Giulio D’Anna, Football, 1933
Ma se è un gioco forse è giusto che vinca chi gioca meglio a calcio e il fatto che la Germania sia poco simpatica in questo momento, con la Merkel e tutto l’ambaradan dei poteri finanziari, non c’entra niente. Se è un gioco.


Una delle varie foto di Pasolini che gioca a calcio
 scattate da Federico Garolla nel 1956
Non è sempre stato così il mio rapporto con il calcio. Da studentessa sono anche andata a vedere qualche partita del Pisa, divertendomi.
E leggevo, finché non è morto in un incidente, tutti gli articoli di Gianni Brera perché mi piaceva il suo stile letterario e insieme il suo modo di essere tifoso. Amavo i suoi neologismi e trovavo bellissima, fra le sue invenzioni, l'evocazione della dea "Eupalla", protrettrice del buon calcio, improbabile, surreale commistione linguistica di greco e italiano. 

Sempre Pasolini, in una foto che trovo molto bella

Per una breve stagione, da ragazzina, sono stata accettata insieme a poche elette in una squadra di quasi tutti maschi, a rivestire un qualche ruolo in campo e ce l’ho messa tutta anche se i risultati credo siano stati scarsissimi.


La formazione dell'Inter di metà anni '60: Sarti, Facchetti, Guarnieri, Tagnin, Burgnich, Picchi, 
Jair, Petroni, Suarez, Mazzola, Corso
Da piccola avevo imparato a memoria la formazione dell’Inter per far contento mio zio, il più giovane, allora ancora scapolo. Lui, in cambio, mi liberava dai compiti portandomi fuori e mi suonava la chitarra.

Facchetti ed Herrera mentre confabulano in campo
Mio zio mi raccontava di Helenio Herrera o del carattere di questo e di quel giocatore, mi spiegava tattiche e strategie di cui capivo poco, ma che mi affascinavano lo stesso. I giocatori permanevano un po’, nelle squadre; c’era, insomma, una specie di identificazione e le squadre avevano un carattere, una personalità, non erano intercambiabili e seriali come oggi. Oggi i calciatori sono tutti solo e sfacciatamente mercenari, come i Lanzichenecchi. Conta soltanto il calcio-mercato, mentre il calcio-gioco, anche se non se n’è accorto nessuno, forse non esiste più perché la dea Eupalla non ha, ormai, alcun potere. 

Hans Holbein il Giovane, La mischia dei picchieri lanzichenecchi,
XVI secolo


1 commento:

  1. Molto molto belli Dottori e anche Giulio D'Anna (quest'ultimo non lo conoscevo).

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