giovedì 20 febbraio 2014

La vita ad Alta Velocità



Da un anno a questa parte ogni volta che passo dalla stazione di Bologna il mio umore e la mia personalità subiscono un cambiamento tanto repentino quanto radicale. Infatti, sia che arrivi con un sorriso gioioso, sia che un languore di dolcezza malinconica mi colori lo sguardo, dopo pochi secondi mi trasformo in un’erinni furiosa e cattiva. Succede da quando è stato creato quell’orrendo non-luogo sotterraneo per i treni ad alta velocità. 
Gustave Doré, Lo Stige

E’ fatto come mi immaginavo dovessero essere gli inferi quando mi facevano tradurre le versioni al liceo. In un luogo così - penso, rabbrividendo - camminava Orfeo cercando di rispettare il divieto di voltarsi a guardare Euridice e certo doveva battergli forte il cuore al pensiero di poter riavere con sé per sempre il suo amore o di perderlo ancora. 
Auguste Rodin, Orfeo ed Euridice (particolare), 1893
Scendendo nel sottosuolo cupo della stazione di Bologna sembra di penetrare in un'altra dimensione di tempo. Ci si immagina che così possa essere il mondo dopo una terza guerra mondiale. I viaggiatori che si muovono nell’al di sotto di Bologna, infatti, sembrano i sopravvissuti di qualche devastante bombardamento che si aggirano incerti tra ceneri fumanti, calpestando un suolo arido e rinsecchito. Smarriti e con gli occhi dilatati chiedono gli uni agli altri indicazioni perché qui, nell’oltretomba ferroviario bolognese, la segnaletica sparisce all’improvviso e poi riappare, più in là, paradossale e angosciante. Le frecce nere su fondo giallo indicano infatti ogni direzione possibile per raggiungere un medesimo luogo e cioè i famigerati binari dal 16 al 19: verso il basso e l’alto, a destra e a sinistra e anche a diritto, per non farci mancare niente. Ora là sotto hanno collocato un bar; una penisola di luce sperduta nel grigio antracite che sembra quasi una proiezione della nostra fantasia. 
Museo della scienza e della tecnica di Berlino - 2009
Sono abituata a viaggiare, eppure, la prima volta che sono scesa negli inferi di Bologna, ho perso il treno. Ora il percorso mi è noto, ma mi rispecchio lo stesso negli occhi spalancati di quelli, soprattutto anziani, che dopo un paio di scale mobili posano i bagagli a terra e si guardano intorno spauriti pensando di essere già morti o, se va bene, catapultati in un incubo alla Dario Argento.
Hugo Cabret di Martin Scorsese. E' attraverso il grande orologio
che il bambino comprende il senso delle cose e del tempo che ce le rapisce, ma può riconsegnarcele sotto mutate vesti.
Non sarebbe del tutto negativa, la situazione, se almeno i treni funzionassero meglio. Ormai mi sono abituata e alla fine faccio presto a scendere e risalire dagli inferi. Di risalire, quando sono lì sotto, non vedo l‘ora. Eppure amo le metropolitane che velocemente, attraversando la pancia di una grande città, ci portano da un punto all’altro senza che ci si debba fare prigionieri del traffico in superficie. Lì sotto, invece, provo un’angoscia insormontabile. Forse perché questi inferi bolognesi non sono abitati come le metropolitane delle grandi città dove a sera sciama la stessa folla che popola la vita di sopra; dove qualcuno canta e qualcuno suona; dove si incrociano i propri simili che tornano dal lavoro, che hanno per mano i bimbi usciti dalla scuola, che pensano già alla serata.
Museo della scienza e della tecnica - Berlino 2009

Qui, invece, ai binari che vanno dal 16 al 19 transitano per lo più i ricchi, gli uomini d’affari, le donne manager, gli intellettuali e i dirigenti. E’ tutto uno sfoggio di borse firmate e cellulari in un glaciale silenzio che quasi ti fa rimpiangere i classici personaggi attaccabottone di scompartimento.
Dicevo che sarebbe un po’ più sopportabile, questo non-luogo, se almeno i treni funzionassero meglio. Invece perdere una coincidenza a Bologna è ormai una certezza. Così, da un po’ di tempo, faccio biglietti con coincidenze create da me e tali da lasciare un maggiore margine tra un treno e l’altro. Poi, semmai, cambio la freccia. Così ho fatto questa volta e stamani, tornando da Modena dove avevo finito prima e dunque preso un treno precedente rispetto al programmato regionale, mi sono ritrovata a Bologna con un margine di tempo di un’ora  e mezza.
Museo della scienza e della tecnica - Berlino 2009

Quindi  sono scesa negli inferi dove si trovano, qua e là, solitari come i foruncoli, isolati e rari, che spuntano anche sul volto di chi non è più adolescente, dei chioschetti uguali a quelli dei gelatai di altri tempi. Solo che dentro invece del gelato c’è un computer e invece del gelataio c’è un ferroviere. No, non gli riesce cambiarlo e mi invita ad andare sopra e sopra, all'assistenza clienti - freccia, mi invitano a fare la fila in biglietteria. Allungherei troppo il post a spiegare le ragioni ossessive di questa impossibilità di cambio. Fidatevi, si tratta di ragioni abbastanza assurde. Rinuncio al cambio e mi siedo in sala d’aspetto. Ecco: c’è il bambino viziato che frigna perché vuole qualcosa e la mamma laissez-faire che tira fuori dalla borsa di tutto per placarlo. Li ho sempre ritenuti insopportabili iatture dei viaggi in treno. Ora, invece, provo un sentimento diverso. Ti voglio bene bambino viziato che mi distogli dallo scrivere e anche alla tua mamma viziante voglio bene. Signora che mi distogli anche tu, chiedendomi a quale binario si trova il treno per Piripicchio sul mare: ti voglio bene. E voglio bene anche a te, giovinastra con le figurine dipinte in forma di smalto sulle unghie.E anche a te, ragazzo con il ciuffo rigido di gel che apri olezzanti fritture MacDonald’s e me ne inondi. Quello che mi è sempre sembrato un puzzo, un’altra iattura dei viaggi in treno, lo percepisco, ora, come una fragranza deliziosa. Vi voglio bene, in questo momento, scocciatori di ogni specie, come ad altrettanti fratelli e sorelle, perché qui è la vita e sotto, dove non si incontrano che raramente persone come voi, il non-luogo dell’insensatezza. 
E a proposito di insensatezza: alzo gli occhi verso la lapide nota che ricorda i morti giovani, bambini e di tutte le età di una strage fascista che ha segnato questa stazione e penso a come siamo bravi, noi esseri umani, a distruggerci per la bramosia di superare ogni limite, a partire dalla velocità.
A Firenze la sala d'attesa è diventata un freccia-club,
anche se l'insegna è rimasta a imperituro ricordo
.
Sono consapevole di essere in una delle ultime sale d’aspetto di questo paese. Ormai stanno chiudendole tutte e lasciano il posto ai negozi. Se ci si vuole sedere, come a Firenze o a Milano, ci sono solo alcune squallide panchine affollate davanti alla biglietteria. A meno che uno non sia un “clubbista” delle frecce e allora può entrare nel club e sedersi. Perché bisogna consumare, consumare, consumare: anche la vita. 
Mi rilasso e non mi importa più di questa ora e mezzo di attesa; non cambia niente se arrivo a Pisa poco più tardi e ora, qui, e dopo, in treno, posso scrivere per sfogarmi e poi leggere o appisolarmi un po’ o ancora chiudere gli occhi e fantasticare come si fa solo quando ci si concede il lusso di un po’ di tempo da perdere. Il lusso, finalmente,  di un tempo lento. 
Hugo Cabret di Martin Scorsese

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