giovedì 7 novembre 2013

Il pesce cocotte



Gli acquari mi piacciono moltissimo e mi acquietano ed è proprio un ganzo il mio dentista, che poi è anche un amico, a tenerne uno nella sala d’aspetto.
Il pesce cocotte. E' giallo e vive in uno studio dentistico di Pisa.

Voglio dire che se ho appuntamento con lui (oggi solo un controllo, per fortuna) ce l’ho, ormai, anche con il pesce giallo del suo acquario. Quando entro in sala d'aspetto e mi avvicino lui (o lei?) come una cocotte si fa largo tra gli altri pesci, sinuosamente mi viene davanti e ondeggia in maniera civettuola, con quel suo nasino impertinente alla francese.
Si avvicina, consapevole che il mio interesse è ormai solo per lui.
E' una ripicca, la mia, ma vorrei fotografarlo bene almeno una volta.

Insomma, si mette in posa, e io cado nella trappola che mi tende e punto il cellulare per la foto o la macchina fotografica che tanto ho sempre dietro; e mentre punto resto immobile un po’ di secondi, la mano ferma comme il faut, ma non appena faccio click ecco che swishhhhhh, scivola via e si nasconde.
Ecco il pesce cocotte mentre swisssshhhha via
Come fa, mi chiedo ogni volta, a cogliere proprio l’attimo esatto del click, prima del rumore del click?
Ora, invece, il pesce cocotte mi guarda, beffardo e divertito.
Comunque, secondo me, gioca: ormai è un dato innegabile. Per onestà, però, devo confessare una cosa: sono convinta che praticamente tutti i viventi giochino.
Tante volte ho osservato gli uccelli nel cielo che si lasciano andare alle correnti senza alcuna meta o scopo, così, come un bambino si diverte facendo l’altalena. E vanno giù, giù, giù che sembra precipitino, ma poi all'improvviso si riprendono e tornano padroni del proprio volo, smettono di volteggiare, di rovesciarsi, di fare capriole nell'aria e puntano dritti verso un punto visibile solo a loro. Poi di nuovo planano lenti, disegnando ampie linee circolari e poi ancora si riprendono e seguono una traiettoria retta.

Ota Janeček, 1961 - E' una delle illustrazioni per "Il principe felice", di Oscar Wilde.(O, almeno, così credo, dato che il mio cervello insiste a ricordarla come tale)

Così, più o meno, facciamo anche noi, che ci lasciamo andare al sonno, alla musica, a un bicchiere di buon vino, al rumore della risacca del mare o a un abbraccio e giochiamo, torniamo piccoli, scopriamo che in un certo senso non abbiamo mai smesso di esserlo. Solo che siamo anche grandi e siamo consapevoli di giocare, di uscire ed entrare continuamente dalla dimensione dell'illusione a quella della realtà realistica che più reale non si può e poi di nuovo traghettarci di là e poi ancora di qua. 

E non parliamo poi dei GATTI che passano l'esistenza a giocare e quasi me ne scordavo! I gatti si divertono un sacco, anche nelle case, a nasconderci gli oggetti o a vederci affannare o a fingere agguati a noi e tra loro. E noi umani, osservandoli, pensiamo spesso che potremmo giocare un po' di più, in tutte le età del nostro ciclo di vita e non solo da piccoli, se volessimo.
Ulisse invita Margot al gioco, fingendo di dormire, e quando lei
proverà ad assalirlo le assesterà la zampata a sorpresa.
Lei finge per un po' indifferenza, poi non resiste e si butta.


8 commenti:

  1. Il mio gioco preferito è calpestare le foglie secche e assaporare il rumore che fanno. Proprio non so resistere e quando con la coda dell'occhio ne vedo di belle grandi (tipo quelle dell'ippocastano) o di belle secche (tipo quelle strette e lunghe dell'oleandro a inizio settembre) sono capace anche di tornare sui miei passi solo per il gusto di giocare a questo gioco. Già mi vedo a 70 anni suonati fare ciak ciak a colpi di bastone...

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  2. Calpestare le foglie secche e farle rumoreggiare accartocciandosi è un gioco che assomiglia moltissimo a quelli dei gatti :)

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  3. Nel gioco tutto è permesso, possibile. Questo è il bello. Il gioco dei bambini non ha limiti, come la fantasia. L'immaginazione, il gioco, non ha le crude leggi, i limiti della realtà. E' così bello lasciarsi andare al gioco, all'immaginazione. Ed è altrettanto bello quando due bambini si siedono a parlare delle regole di un nuovo gioco, da loro appena inventato. Cetrcare delle regole per un nuovo gioco. un po' come scrivere un piccolo regolamento, un piccolo testo sacro. Un gioco per i bambini è come una esperienza sacra.

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  4. Credo che giocare sia l'attività più alta, più complessa che possiamo vivere. Scrivere o leggere un romanzo, per esempio, è una forma di gioco, perché è situarsi in una dimensione di finzione che ha però un proprio statuto di realtà. Noi sappiamo che non è vera la vicenda che ci appassiona fino a farci piangere o ridere o provare paura, così come a teatro o al cinema, ma nello stesso tempo che è vera, sia pure in un altro senso, cioè come metafora di esperienze interne. Come i sogni. Per certi versi come la poesia che è giocare con le parole.

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  5. Di recente ho letto un libro interessante sul gioco, l'autore è Eugen Fink e il titolo è "Oasi del gioco".

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  6. E' bella la posizione di Fink sulla pervasività del gioco, che travalica i confini di età, di realtà (perché rende evidenti che ce ne sono dimensioni diverse) e soprattutto quelli, rigidissimi, tra tempo di lavoro e tempo libero. Le pagine più belle sul gioco come attività trasversale alla condizione umana a prescindere dall'età, però, almeno secondo la mia sensibilità, le ha scritte Donald Winnicott.
    “Che cosa facciamo, per esempio, quando ascoltiamo una sinfonia di Beethoven o quando andiamo in pellegrinaggio a una galleria d’arte, o quando leggiamo a letto Troilo e Cressida o quando giochiamo a tennis? Che cosa fa un bambino quando si siede sul pavimento giocando sotto l’egida della madre? Che cosa fa un gruppo di adolescenti che partecipa ad una riunione pop? Il problema non è soltanto: che cosa facciamo? C’è ancora una domanda da porsi: dove siamo, (se mai siamo in qualche posto)?” Il luogo in cui viviamo, D. Winnicott, 1971.

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  7. Interessante. Leggerò il libro, grazie.
    Io personalmente a proposito del gioco sento mio un racconto di Crockett Johnson, in cui vi è un bambino, Harold, che disegna con la propria matita viola il proprio mondo. Ecco, per me, le cornici che viviamo e che fanno la nostra vita possiamo disegnarle noi, ciascuno con la propria matita.

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  8. Giusto, Antonella, domandarsi perché. Prerogativa, o dannazione dell'uomo, la capacità, l abitudine di cercare il perché. Fin da piccoli, perché piove, perchè piangi, perché il tavolo non cade, perché il sole è lì, perché mamma non c'è più. Perché il bisogno di gioco, infine. Chissà. La prima scelta, il primo atto creativo di un bambino: vuoi la palla gialla o quella rossa? Perché hai scelto quella gialla? Perché.

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