domenica 2 novembre 2014

Tra me e la casa nera c'è una distesa di ulivi


Il caco - Montecatini Val di Cecina
C’è tutto ciò che mi aspettavo ci sarebbe stato: le foglie rosse del caco, l’azzurro intenso del cielo di collina, il silenzio e la torre antica, imponente, quasi una grande madre del minuscolo paese.

Il caco dei miei, ancora lui

Ha visto tutto, lei. La grande guerra e poi quell’altra, le processioni fasciste giù, sotto, nella piazza, i vestiti della festa e quelli della povertà e i minatori e i contadini e i signorotti locali, quelli illuminati e quelli meno, a spasso con le loro signore con la borsetta.




Ha visto il socialismo e le faide di altri secoli, attraverso le sue feritoie atte a spiare le vicine colline e soprattutto la vicinissima rivale: Volterra.



Torre Belforti

Ci si incammina dopo pranzo e la lista di ciò che non c’è più comincia molto, molto prima del cimitero.


La fonte, nella piazza del paese. 
In teoria dovrebbe essere un leone. Il paese, del resto, anticamente si chiamava Castrum Montis Leonis o anche Monte Leone. Però, a noi bambini, sembrava piuttosto un orso, travestito da leone...

La scuola elementare, per esempio, non c’è più. I bambini vengono portarti, ancora assonnacchiati, in scuole vicine. Però c’è ancora il cartello, a ricordarci che non c’è più.



Ogni volta ci ridiamo con i miei fratelli o con mia sorella. Scendevamo quelle scale in fila, con la propria maestra in testa e prima le femmine, poi i maschi. Al cancello e dopo un anacronistico ”atttt-tttenti” e “ripp-poso”,  risuonava il “libere le femmine” di una determinata insegnante.


Intanto i maschi venivano trattenuti ancora un poco, per permettere a noi bambine di avere un piccolo vantaggio e un sollievo dai loro scherzi e poi veniva il “liberi i bimbi”. Si cammina ancora e si entra nel cimitero. Lo percorro tutto e incontro sempre qualche persona che non vedevo da anni, compagni di scuola o di giochi; passeggiando sotto, sopra, a destra e a sinistra, ricordo storie lontane, vite felici o dolorose, vengo invasa da una sottile malinconia, ma a volte dalla voglia di ridere ancora per qualcosa di buffo che riguardava qualcuno di questi che non ci sono più: un soprannome, un vizio, una mania…


I cimiteri delle piccole comunità sono diversi da quelli di città. Conosci tutti oppure, se non li conosci, sai di chi sono gli antenati e ritrovi, in questa o quella foto, i lineamenti familiari di qualcuno che ti è coetaneo. Ecco che mi affaccio dal retro e da sopra e guardo lontano la sagoma nera, in controluce, di una casa colonica con quattro cipressi attorno e un vicino boschetto.


Tra me e la casa nera c’è una distesa argentea di ulivi bellissimi. Era il podere “Santa Barbara” e lì abitava la famiglia della mia tata che era stata alunna di mia madre e poi era venuta a vivere con noi. Ma i fine settimana mia sorella ed io li passavamo spesso in quella casa, a rotolarci nelle montagne di grano del granai e a prendere confidenza con gli animali.


Ne ho visti molte volte, ancora piccola, accoppiarsi; e poi ho visto lo schiudersi delle uova e il venire al mondo di maialini, di gatti, un’unica volta persino di un vitellino. Sempre lì, purtroppo, le grida di paura del maiale, nei giorni della sua morte, ogni anno, mi hanno spezzato il cuore. Quello stesso maiale a cui portavo da mangiare, nei fine settimana campagnoli, e con il quale mi piaceva tanto dialogare a suon di grugniti. Chiudevo gli occhi e mi tappavo le orecchie con le mani per non sentire.


Lì ho assistito al convulso agitarsi delle galline alle quali era già stato tirato il collo, ma che continuavano a muoversi per un bel po’, roteando per terra, e io ero terrorizzata e sgomenta nello stesso tempo. Una volta, correndo – correvo sempre – nell’aia, ho inavvertitamente schiacciato un pulcino. L’ho guardato rotearsi, anche lui, con gli occhietti puntuti fuori dalle orbite e poi afflosciarsi giù dopo avere pigolato come un disperato. Non ho dormito per giorni e giorni dal rimorso.


La sera il ritorno è come sempre un po’ mesto; ecco il viale sotto la vecchia casa dei miei nonni e gli alberi che hanno raccolto tutte le voci ora in silenzio e la torre con la sua luce che sa di magia nel cielo ormai blu scuro.


Non ho più voglia, a Pisa, di vedere il film programmato, che racconta della bellezza della terra e della vita. Ripiego per un altro, uno che parla di un bambino disamato e dei suoi capelli crespi: se diventassero lisci la sua mamma, forse, lo amerebbe come ama il fratellino bizzoso e lo bacerebbe e carezzerebbe come fa con lui.

Pelo Malo, Mariana Rondòn 2013
Sono contenta della mia scelta: si addiceva di più, questo bel film, alla mia giornata e ai pensieri che l’avevano attraversata. Eccomi sulla strada di casa quando la giornata sta per chiudersi. Incrocio, di tanto in tanto, in direzione opposta alla mia, gli ultimi viaggiatori da Lucca comics, colorati e allegri. Sono tre giorni che li osservo, anche affacciata al terrazzo che guarda proprio l'ingresso della Stazione, andare e tornare chiassosi e spesso mascherati. Da alcuni anni non ci vado, ma forse il prossimo mi organizzerò anch’io, chissà; mi piacerebbe. Continuo il mio cammino verso casa e li guardo che ritornano a frotte, ridendo nella notte; hanno in mano le buste con ciò che hanno scovato tra gli stand e fra un gruppo e l’altro c’è l’intervallo di un grande vuoto e silenzio nel quale mi sembra che i miei passi, anche se indosso le scarpe da tennis, risuonino come se avessi i tacchi alti. Un passo dopo l’altro, avanti. 



2 commenti:

  1. Antonella, come sei brava a scrivere, a ricordare e immergere il lettore nel mondo passato della tua infanzia, così diversa dalla mia e certamente tanto più bella, dato che quando sei nata tu la guerra era già finita. Ti prego: riunisci tutte queste preziose pagine e fanne un libro. Un libro bellissimo e unico. Ada. Mi firmo, come sempre, perché temo di sbagliare tutto.

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  2. Ada, grazie! Del complimento e del suggerimento. E' una delle cose che rimando a momenti successivi della mia vita, insieme a riprendere a suonare il pianoforte, con lezioni, o a riprendere a dipingere. Ma forse questo rimandare a causa degli impegni è una scusa con me stessa. Forse non sono ancora disponibile per motivi diversi dal tempo e il blog, in fondo, è meno coinvolgente... Se davvero riusciamo a vederci te lo spiegherò a voce. Un abbraccio!

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