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Gustav Klimt, Danae, 1907-1908 |
Prima di adesso mi è capitato una sola volta, tanterrimi
anni fa, di avere il mal di schiena. Perciò non so cos’è, non so come si affronta,
quanto dura, perché viene: insomma, non ne so niente di niente. Eppure, da ieri, mi è
piombato all’improvviso addosso e sta lì a occupare un angolo della testa e a impedirmi di essere tutta nelle cose che faccio. Cioè, faccio le cose che
faccio, ma sono anche più in là, come svaporata, come rapita da una fastidiosa
sensazione di non libertà che mi rende, diciamolo pure, un po’ infelice. Da
ieri mi spalmo del principio attivo (diclofenac) di una certa pomata, che
almeno non ingrossa troppo le già pingui tasche delle industrie farmaceutiche e da stamani ho cominciato anche a darci sotto di compresse sublinguali, perché oggi
volevo onorare un impegno preso. Ma non mi libero. Se me ne
scordo un attimo e mi alzo, con la mia consueta rapidità, dalla sedia, ecco che come una mazzata il mal di
schiena mi piomba più intenso sul dorso e mi piego, con una smorfia di dolore, camminando
come se portassi una croce.
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Gustav Kimt, Pesci d'oro (part.), 1901 |
Mi carezzo le vertebre, al centro della schiena, e mi
sembrano enormi, sporgenti; serpenti di ferro che mi perforano i muscoli e la
pelle. Che strano! E’ come se per tutti gli altri giorni e mesi e anni non
fossi stata consapevole di avere queste vertebre enormi, questi anelli concatenati
che danno saldezza al corpo, lo fanno stare eretto e mi rendono un essere non lombrichiforme.
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Gustav Klimt, Sangue di pesce, 1882 |
Non sarà un caso
che abbiamo bisogno di sdraiarci per riposare bene, dormire o
lasciarci andare, su una distesa di sabbia, al rumore ritmico della risacca che
ci culla come una ninna nanna. Forse questo mal di schiena quasi invalidante,
al quale non sono abituata, mi vuole raccontare della fatica di questi ultimi mesi,
del peso di cui mi sono fatta carico - e non avevo scelta - e di quello
aggiuntivo, che potrei anche avere evitato.
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Gustav Klimt, Bisce d'acqua, 1903 |
Capire, ragionare, disarticolare le proprie
ferite e delusioni per trovare una spiegazione razionale e adattarvisi, non
portare rancore, non lasciarsi possedere dal risentimento, dalla rabbia, dal
dispiacere relazionale... Tutti buoni e giustissimi propositi, tutti principi di
vita assai etici, che mi sentirei ancora di raccomandare.
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Gustav Klimt, Nudo di donna con corpo piegato in avanti a sinistra, 1900 circa |
Ma la fatica e questo peso, queste fitte dove ora tengo la mano aperta per addolcirle con il suo
calore, mi suggeriscono qualcosa. Anche il dolore rappresenta un segnale e
forse, come una voce appena percettibile, come il rumore breve di un frullio d’ali,
mi sta sussurrando di fermarmi, di socchiudere gli occhi, di ascoltare il silenzio.
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Pisa, ottobre 2014 |
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