Germania anno zero, Roberto Rossellini, 1947 |
Così realista da sembrare fantascienza. La vera
protagonista è la città distrutta e animizzata nelle sue voragini come bocche
che urlano, nelle sue finestre sventrate come occhi dilatati che ci
perseguitano e ci spiano, nei nostri incubi peggiori, e ci mettono a nudo nella nostra fragilità.
Non c’è più un
soggetto, un dentro o un fuori, ma macerie, polvere, stracci e poi lui,
Edmund, che vediamo quasi sempre di profilo, di tre quarti o di spalle e così gli camminiamo accanto o lo seguiamo,
quasi fossimo suoi compagni di vita o di scena.
Edmund dallo sguardo perso e
dai pensieri da uomo fatto, troppo pesanti per quelle gambe magrissime e goffe
che vorrebbero calciare la palla di cencio con gli altri bambini e lo guidano, invece, al suo volo verso l’unica libertà che gli resta.
Che emozione vedere
sul grande schermo questo film! Un film che è riduttivo definire realista,
perché parla dl visibile e di invisibile insieme mentre le macerie e i ruderi
che definiscono la città si riverberano nel mondo interno di ciascuno.
Insieme
al bambino biondo, che bambino non è mai stato, sentiamo tutto il dolore
inflitto agli uomini dal secolo più crudele, il XX.
Quello delle due guerre
mondiali, delle dittature e degli abissi di disumanità che ci hanno lasciato
stigmate impossibili da cancellare.
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