Frederic Leighton, Flaming June, 1895 |
Non avevo voglia di alzarmi, stamani. Tanto sarà
freddo, grigio, nuvoloso o peggio. Mi dicevo lasciandomi avvolgere dalle
fantasie del dormiveglia: tutti progetti che richiedevano il sole come cornice.
Invece non ci sono più i meteo di una volta. Quelli con Bernacca, che i miei nonni
ascoltavano come fosse la Pizia, sedendosi davanti alla Tv come se si trovassero
davvero nel santuario di Delfi. E l’anticiclone delle Azzorre, i venti freddi
che venivano dalla Siberia, quelli caldi e umidi da regioni non mai bene
specificate dell’Africa. Insomma c’è il sole, un sole vero e un cielo azzurro
come da cartolina pasquale. Come sono poco suggestivi i meteo attuali! E oltre
tutto non sono nemmeno tanto più scientifici, a giudicare da stamani!
Non ricevo e non faccio la stessa quantità di auguri
del Natale, per Pasqua. E in effetti, a volte, resto un po’ sorpresa quando per
strada, nei giorni precedenti, qualcuno me li fa; poi mi riprendo. Ah, già, la Pasqua. Mi dico senza particolare
coinvolgimento.
Per un non credente cosa potrebbe voler dire,
come si potrebbe dare un senso a una festa condivisa da molti? Perché se per
tanti anni mi sono concentrata su altri aspetti, che mi rendevano estranea
questa ricorrenza, ora penso invece che può essere importante la condivisione
pur senza confondere i punti di vista. Penso allora alla primavera, al
risorgere delle cose.
Non sono le cose nuove, che si festeggiano, infatti, ma
la possibilità di recuperare quelle già conosciute, quelle perdute, quelle che
disperavamo di poter mai resuscitare. Ma subito prima della gioia del
ritrovamento ci si concentra sul dolore ingiusto e insensato, sulla crudeltà
che rende ogni uomo il possibile carnefice o aguzzino di un altro come lui.
Gilbert Victor Gabriel, Le marché des fleurs, 1880 |
Venerdì, infatti, mi trovavo con altri nel cuore
ferito della mia città insanguinata dalla morte innocente di un uomo il cui
unico errore era stato quello di trovarsi in un certo punto, a una determinata
ora, sulla strada di un disgraziato qualsiasi. Un disgraziato che aveva la rabbia nel
pugno e il vuoto dentro o quel ronzio indistinto che a volte, magari attraverso
l’alcool o altro, ti permette di creare un filtro percettivo e mentale, di
togliere significato a tutto e non sentirti attaccato a niente, di guardare il
mondo come da dentro un indistinto luogo di indifferenziazione e distanza.
E ora sono qui a predisporre per il trasporto in
auto il cibo che ho cucinato ieri; e a pensare alle persone che ci saranno e a
quelle che non ci saranno, là, nella casa di un’altra me più giovane, di quell’adolescente
aperta e scontrosa nello stesso tempo in cui mi riconosco.
Non sempre è
possibile mettere insieme i propri differenti mondi affettivi e dunque capita
di essere in un luogo e starci bene e desiderarne anche un possibile altro o
viceversa. E poi ci sono i ricordi delle uova di gallina alle quali, con mia
sorella, facevano cappellini di carta prima di disporli davanti a ciascun
commensale. Il giorno prima li dipingevamo come un volto – di cinese, di
fatina, di chissà cosa – con tanto di capelli disegnati dietro. Era un
dispiacere vedere il cinese o la fatina, dapprima elogiati, trasformarsi in
cibo, perdere di magia. Però passava subito, c’era quell’altro uovo, quello di
cioccolata.
John William Godward, Summer Flowers, 1903 |
La sorpresa. Anche questa è un richiamo perché la
gioia arriva spesso inaspettata e ti sorprendi a sorridere di nuovo e a
guardare l’orizzonte.
Ho visto ieri che si vendono delle uova per
adulti, cioè, come c’è scritto a chiare lettere sopra, senza sorpresa. Ora, a
parte ogni considerazione commerciale che qui sarebbe fuori tema, ma perché si
pensa che sorpresa e gioco siano riservati solo ai bambini? Che triste
filosofia di vita!
E allora: buone sorprese a tutti! (E questo è il
mio augurio di stamani.)
Sei tanto brava a trasmettere i tuoi pensieri, le tue emozioni... mi piace tanto leggerti, cara Antonella, in questo mondo pieno di enigmi voluti, di pensieri stravolti, soprattutto di poca chiarezza. Anch'io, da sempre agnostica, mi domando il senso di queste festività religiose e mi accorgo che in realtà sono una necessità per vivere il trapasso delle stagioni anche in senso positivo: alla mia età ho scoperto che gli umani hanno bisogno di riti, che ci credano o no. Hai mai pensato cosa sarebbe l'anno senza Natale, Pasqua e tutto il resto? Una sequela di giorni non ben identificabili, e niente altro. Inoltre vedo la gioia, l'attesa negli occhi dei miei nipotini e capisco il senso di tutte queste festività. Ti abbraccio e spero rivederti presto. Ada
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