venerdì 18 aprile 2014

La rosa


Non so dire quanti eravamo. Stavamo un po' indietro, un po' defilati, perché in testa al corteo c'era la sua gente, la sua comunità. Noi siamo abituati ai grandi striscioni, alle grandi bandiere. Anche la metrica usata per gli slogan sembrava diversa: sommessa, più discreta, meno urlata di quella solita. Più un lamento che un grido. Così andavamo dietro a quei piccoli cartelli bianchi con la foto di Zakir, con le parole di un addio in stampatello rosso. 



"Vogliamo la verità" era ancora scritto su molti di quei piccoli cartelli. Forse perché, anche se sono stati individuati responsabile, complici e testimoni, la verità ancora non la conosciamo. Intendo la verità su noi esseri umani, sulle nostre ombre; intendo la verità su noi che possiamo gettare via la vita, nostra o di un altro, come fosse niente, la cartina di una caramella o una cicca.
Ci siamo avvicinati a quell'angolo, quello nel quale prima di morire in maniera così insensata Zakir aspettava i compagni di lavoro per tornarsene a casa.
C'ero già passata ieri e avevo provato una stretta al cuore nel guardare quei mazzi umili di fiori posati a terra e la spirale dei bastoncini di incenso che profumava l'aria tutto attorno.

Foto rubata a un amico
Ho letto qualcosa di lui, stamani. Non aveva più visto né moglie né figli, da quando era in Italia, perché il viaggio sarebbe stato troppo costoso, ma ora stava preparando una casa per accoglierli qua. Ora che finalmente aveva da un anno un lavoro stabile come lavapiatti nel ristorante indiano di una piazza centrale e frequentata della città.

- Vuole una rosa, vuole regalare una rosa? 
- No, grazie, no, per favore, no. 
Diverse volte, di sicuro, dalle mie labbra sono uscite queste parole per liberare dall'imbarazzo gli uomini del gruppo di amici con il quale stavo cenando in questo o quel locale.
Anche lui vendeva rose prima di questo ultimo impiego, di questa fortuna: un lavoro fisso, il sogno di riunire la famiglia, i figli. 
Un posto fisso, una fortuna, certo, ma così vicino al luogo che sarebbe stato il teatro della sua morte assurda.
Piccole vite che sfiorano la nostra piccola vita. E quasi sempre passiamo oltre, ignari, inconsapevoli, innocenti; e ci diciamo che del resto non è colpa mia, tua, di nessuno dei singoli.

- Ma contro chi stiamo manifestando? 
Ho chiesto a un certo punto alle persone che avevo vicino e naturalmente, e lo so anch'io, la risposta è stata che stavamo mostrando la nostra solidarietà e vicinanza alla comunità bengalese, che a Pisa è di circa 1500 persone. 


Vorrei avere comprato una rosa da quest'uomo che non ho conosciuto, vorrei avere chiesto a qualcuno di regalarmela. Chissà se mi è mai passato accanto, se me ne ha mai offerta una, magari con il sorriso mite, magari senza insistere troppo.


Così cerco di parlare di altro. Oppure anche di questo fatto per il quale abbiamo sentito il bisogno di essere qui, del motivo per cui stiamo fermi in questa piazza e poi ci muoviamo ammassati disordinatamente per il corso principale della città, dietro ai piccoli cartelli bianchi con su scritto un addio, con su scritto il desiderio della pace e della verità. 
Parlo e ascolto chi mi è accanto e diciamo dei giovani, del vuoto e della mancanza di un motivo per questo assurdo delitto; neanche quello razzista che per quanto odioso avrebbe fornito una spiegazione, alimentato una rabbia, creato un nemico contro cui battersi e gridare. Un po' parliamo e un po' stiamo in silenzio; un sms, una telefonata, la vita che continua con il suo ritmo di faccende quotidiane e un brivido quando ci avviciniamo al luogo dove sono i fiori per terra. 


Io non so più niente. So solo che vorrei avere comprato una rosa, un po' di tempo fa, in una sera come tante.

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