martedì 29 ottobre 2013

Perché l'omofobia?

Due giorni fa un altro ragazzo, a Roma, in quest'anno non ancora finito, si è gettato nel vuoto per la disperazione di dover vivere in una cornice sociale contrassegnata da sentimenti e comportamenti omofobi.


Sono eterosessuale, eppure sento che tutto questo mi riguarda profondamente. L'omofobia, infatti, rende il mondo più brutto per tutti trasformandoci in gregge, in cloni, in esseri seriali, conformisti e codardi perché definiti dal timore di una differenza che riusciamo a leggere solo come disconferma.

Saffo

Sono convinta che il modo migliore di combattere il pregiudizio, gli atti di discriminazione e quelli di violenza psichica e fisica nei confronti delle persone omosessuali, consista nel progettare percorsi di educazione preventiva. Non si tratta solo di fornire conoscenze, di sfatare pregiudizi o, peggio, di invitare a un atteggiamento genericamente tollerante: anzi, si tratta di criticare il concetto stesso di tolleranza in favore di quello di accettazione delle differenze. La tolleranza, infatti, si lega alla sopportazione, non all’apprezzamento dell’altro nella sua diversità. Nel tollerare si sottolinea la propria distanza. Si tollera un elemento definito come diverso e negativo; ma lo si fa fino a un determinato limite, oltre il quale si comincia a odiare e si procede all’eliminazione fisica o simbolica.

Achille e Patroclo - Jacopo Camagni
Lo si capisce bene spingendosi a ritroso nel tempo, quando i sentimenti di tolleranza potevano riguardare coloro che professavano altre religioni, come i pagani o i musulmani o anche gli ebrei, che non ne avevano colpa non avendo potuto scegliere la propria cornice di esistenza. Non poteva riguardare, però, gli eretici o i cattolici che si allontanavano dalla fede. Per loro c’era, invece, l’inquisizione e quasi sempre il rogo. 
Cercare le differenze, così come è implicito nel concetto di tolleranza, significa avere paura di riconoscere le affinità: tra chi è malato o folle e chi si ritiene sano; tra chi è delinquente e chi si ritiene onesto; tra chi è invidioso o cinico e chi definisce se stesso come generoso ed eticamente irreprensibile. 
Inoltre, vedere la differenza come una colpa o una minaccia rende possibile sollevare se stessi da qualsiasi responsabilità. Serve per proteggersi rispetto alla propria scarsa autostima; o per proiettare sull’altro, com'è tipico del razzismo, le parti di sé considerate disdicevoli e relegate nelle zone d’ombra della propria interiorità. E’ più semplice e psichicamente meno oneroso cercare l’altro fuori di sé, sottolineando le differenze, anziché comprenderlo in se stessi, sottolineando le somiglianze.

Henry de Toulouse-Lautrec, Il letto, 1892
Accettare l'altro significa, invece, ricercare e sottolineare gli aspetti comuni. Solo liberandoci dal timore delle differenze potremo vivere maggiori e più significative occasioni di felicità condivisa.
(Qui il link all'intervista della madre del ragazzino gay di 15 anni che si era suicidato lo scorso anno, impiccandosi)

2 commenti:

  1. Leggevo poco tempo fa che proprio qui,nelle campagne Toscane (ma, probabilmente, non solo qui), nell' 800 si praticavano matrimoni gay religiosi. Direi che questo è un'altro grande esempio di come, sempre più, si stia retrocedendo, anzichè procedere. Sì, purtroppo, l'intolleranza sta aumentando, proporzionatamente all'avanzare dei secoli..è una triste verità. Tutto si potrebbe ricollegare alla fragilità collettiva dilagante (vedi botulini e bamboline/i varie), alla totale mancanza di autostima che domina i ns. tempi e all'incapacità di creare relazioni sane (etero, figuriamoci gay). Sopratutto per gli uomini gay, in questa società che misura il loro valore in termini di prestazioni sessuali e n° di rapporti "consumati" con donne (e dimensioni del pene), è difficile essere accettati; per una donna gay è un pò più facile, ma soltanto perchè gli uomini vorrebbero mettersi nel mezzo (se hanno problemi con una, figuriamoci con due!!). Io sono felicemente innamorata e compagna di una donna da sette anni, ho un passato eterosessuale di tanti anni e le posso garantire che lei ha assolutamente ragione a dire che, nell'atto sessuale, conta la condivisione dei sentimenti profondi, il desiderare di dare e ricevere gioia con la persona amata. Tutto il resto è NOIA...come recitava una famosa canzone. Lei è una persona e un' insegnante meravigliosa, ce ne fossero di più, forse un pò di passi avanti li potremmo fare. E poi la prima e più importante accettazione nasce in famiglia, forse andrebbero educati anche i genitori, ricordandogli che i figli vanno accompagnati verso quella che è la loro felicità! Monica

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    1. C'è l'infelicità che viene dal destino, dalla storia, dalla fragilità biologica che ci definisce. E poi c'è quella che creiamo noi stessi, attraverso stereotipi e paure che riproduciamo passivamente. In un certo senso anche per meritarci la felicità è necessario avere del coraggio. Non è affatto scontato.

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