lunedì 14 ottobre 2013

Nella notte, un cerbiatto.


Ieri sera. Le luci del paese sono ormai lontane, piccole e tremule. Fuori è già scuro e i soli segnali di vita sono altre luci, vicine e fastidiose: quelle rosse di qualche auto che precede e quelle gialle di chi viaggia in direzione opposta alla nostra. Piccole scatole anonime. E non sappiamo niente delle voci che le animano o della radio accesa su un canale qualsiasi a scaldare la solitudine di un rientro. Non sappiamo niente nemmeno delle mani che forse si carezzano dolcemente, tra la marcia e il freno a mano; o invece della voglia, chissà, di aprire lo sportello, scendere e liberarsi di un silenzio d’abitudine che in auto, e di notte, può sembrare ancora più pesante. 
Ritorniamo a Pisa dopo una giornata in famiglia come tante, fatta di racconti, risate, buon cibo e un po’ di malinconia. L’abitacolo è invaso di parole concitate perché si commentano i fatti del mondo che più fanno arrabbiare. 

Poi, all’improvviso, un cerbiatto si materializza alla nostra destra e mentre rallento attraversa a piccoli balzi graziosi la strada grigia per nascondersi di nuovo nel bosco. Di colpo si fa silenzio. Guarda! Hai visto? Hai visto? Un cerbiatto! Sì, sì, era proprio un cerbiattino! Le voci non più concitate ora sono dolci e sussurrano, un po’ stupite. Ci si ricorda di un film e di un libro. Bambi e le lacrime bambine su quella madre uccisa. 

2011, non ricordo dove
Quando si scopre la crudeltà? Un bambino lo capisce presto, che esiste la cattiveria, che esiste, a volte, anche il destino rapace e ci porta via ciò che ci fa stare bene: quella carezza, quel calore, quell’odore di buono, quel rumore di passi dietro la porta.


Eppure noi adulti censuriamo le ombre dell’esistenza ai bambini imprigionandoli in gabbie che servono solo a proteggere le nostre certezze polverose. Loro, i bambini, sanno delle ombre, del dolore e della perdita. Altrimenti non avrebbero paura, la sera, di addormentarsi. Per proteggerli troppo, però, alla fine li lasciamo soli. 



Per fortuna imparano a consolarsi anche senza di noi e attraversano la notte stringendo a sé un pupazzetto di peluche, caldo come il corpo della mamma, sapendo che per non avere paura bisogna solo imparare a giocare. 


E non smettere mai di farlo, per tutta la vita. (E’ stato un Bambi, nella notte, a ricordarmelo.)

7 commenti:

  1. Non c'entra niente, ma ne approfitto. Non ricordo dove ho scattato la foto. Era tra quelle della serie poi le sistemo e scrivo il dove e il quando. Se qualcuno riconoscesse la finestra, magari, e me lo scrivesse!

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  2. Ho sempre pensato che è sbagliato cercare di preservare i bambini dal dolore, dalla frustrazione, dalla ineluttabilità della morte. I bambini istintivamente sanno, ma la reticenza degli adulti può renderli ansiosi e insicuri.

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  3. Per fortuna c'è il cinema e la sua Pedagogia della morte

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    1. Proprio così. Da Il re leone, a Bambi, a Incompreso, eccetera...E soprattutto il bellissimo "The Nightmare Before Christmas" che se non ci fosse andrebbe inventato! Io lo farei vedere obbligatoriamente in tutti gli ordini e gradi di istruzione!

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    2. Può darsi che sia stata scattata in Francia?

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  4. Non in Francia, sono sicura, e neanche in Transilvania perché ci sono stata da poco tempo e me ne ricorderei. Penso che sia in Italia..., ma boh! Ho la mania di fotografare finestre e di ritagliare la cornice, cioè il pezzo di edifico che potrebbe aiutare a riconoscerle. Di solito tengo le foto raggruppate sotto una cartella con il nome del luogo, ma questa l'avevo messa da sola sotto una cartella denominata "varie". C'era una probabilità molto remota che qualcuno la riconoscesse.

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