Agrigento - Ex convento di clausura |
Chi ne ha rotti
due, chi tre, chi anche di più e ha ulteriori lesioni. Io ho una frattura
scomposta, va bene, però si tratta di un solo osso e per
di più piccolo: cosa vuoi che sia rispetto agli altri casi! E poi, dalle tante
telefonate o messaggi di amici, ricavo la notizia che quasi tutti sono
passati dal gesso e dalla clausura forzata, spesso anche dall’intervento e dal
dolore. Sicché, cosa vuoi che sia: la situazione l’hanno superata loro, dunque la supererò anch’io.
Blu usurpatrice |
E' ciò che mi ripeto continuamente dal momento della caduta, ma
questa è la mia voce razionale. Quella emotiva dice ben altro e già che c'è mi ricorda, subdola
e insidiosa, tutti i piccoli e meno piccoli progetti ai quali ho dovuto rinunciare;
quindi mi suggerisce, la perfida, che chissà quante altre volte mi ricapiterà
di cadere e farmi male dato che sono distratta e impulsiva.
La loro ombra |
La voce emotiva diventa preponderante nelle notte dopo l'intervento, insieme al dolore del post anestesia e all’angoscia che lo accompagna e che mi tiene sveglia mettendo in disordine la mente.
Thomas Hirschhorn, Indoor Van Gogh Altar, Arles 2014 |
Stanotte, però, ho dormito e infatti ora va meglio.
Rispetto alla mia
esperienza attuale conservo un ricordo molto positivo di tutte le persone che ho
incrociato in sala operatoria; sono riuscita persino a scherzare e a scambiare
battute con loro che mi regalavano molti sorrisi, un accenno di carezza sul braccio o sulla guancia e intanto mi tranquillizzavano spiegando tutto con calma e
competenza.
Thomas Hirschhorn, Indoor Van Gogh Altar, Arles 2014 |
Non posso dire altrettanto del personale di corsia, nella quale tutto dipende
da chi ti capita. C’è chi sorride e dice buongiorno ed è gentile e chi comunica
quasi solo a gesti, ostenta il muso lungo per chissà quali sue traversie personali,
non spiega niente, non dà indicazioni, non compie un gesto che non sia
dettagliato nel mansionario (il sorriso di certo non c’è) e ti guarda come se
fossi trasparente.
L'usurpatrice 2 |
A casa,
finalmente, ti immagini di poter mettere in atto quello che tutti ti stanno
consigliando: approfittare della situazione per riposarti, guardare qualche bel
film, leggere, forse anche scrivere. Invece non ce la fai. All’inizio per il
dolore; poi, quando lo tieni a bada e si placa un po’ anche naturalmente,
perché la testa è come intorpidita e ti senti confusa, spossata e debole.
Thomas Hirschhorn, Indoor Van Gogh Altar, Arles 2014 |
Il riposo non scelto, del resto, non è
così gradevole perché viene riempito dai pensieri involontari. Pensi e pensi e ti senti
un’ingrata nei confronti della vita per non essere stata sempre in grado di
apprezzare quello che avevi e che momentaneamente è sospeso; come la tua autonomia e
libertà o come la possibilità di godere di tante cose belle: la natura, il cinema, una serata fuori condivisa, un concerto o uno spettacolo.
Ora ogni piccolo gesto
banale sembra un’impresa. Impari ad arrangiarti muovendoti su un piede solo, ma cedi ogni tanto al lamento,
qualche volta anche allo scoraggiamento perché l’altro piede, quello malconcio, ti fa male dopo poco che non lo tieni sollevato; oppure perché i tempi delle
azioni consuete sono lunghissimi o anche perché scivoli, perché per poco non cadi di
nuovo e ti spaventi molto.
Oggi va molto meglio, lo ribadisco.
Riesco anche a scrivere questo post. In questi giorni ho sperimentato ancora una volta quanto sia essenziale la rete amicale delle donne nei momenti di crisi. Alle
amiche vere puoi raccontare, se vuoi, tutto quello che ti passa per la testa quando stai così; e
puoi affidare loro anche la tua paura di invecchiare, che non è legata alle
questioni estetiche, ma alla possibilità di non essere più, un domani, autonoma
e libera come ti sei sempre voluta sentire.
Penso che per me si tratta
di una clausura forzata e di una maggiore fragilità psicofisica temporanee e mi vengono in mente i tanti bambini e giovani disabili con i
quali ho interagito prima dell’attuale professione. Per quanto abbia sempre
avuto la sensazione di immedesimarmi profondamente nella loro condizione, ora mi rendo conto che non avevo che una pallida idea delle loro paure e difficoltà. Poi penso anche a mia madre, a quella sua malattia che l’aveva resa dipendente
dagli altri per ogni più piccolo gesto o bisogno, senza, purtroppo, toglierle
la consapevolezza.
L'ho già scritto: oggi va meglio.
Così decido di dedicare energie a un gesto di cura non medica per me. Ed eccomi in precario equilibrio nel bagno, felice di massaggiarmi la gamba buona con una crema
idratante profumata e poi dedicarmi allo stesso modo anche a quel che è scoperto della
gamba transitoriamente parassita. Sì, oggi va davvero meglio: riesco anche a scrivere e persino a pensare all’estate.
Il tipico sonno vigile dei gatti in territorio usurpato. |
Povera antonella, ti capisco... conosco... bisogna soltanto avere pazienza e aspettare che tutto questo diventi solo un ricordo. Pensi all'estate... non verresti da me? Ne sarei molto felice. Ada.
RispondiEliminaCi posso provare...Per ora penso all'estate in senso molto generico, mi sembra di vivere nell'angustia non solo spaziale, ma anche temporale! Però, hai ragione, passerà...
RispondiEliminaSolo adesso leggo questo post, anche attirato dal titolo che mi ricorda uno degli episodi del film visto ieri sera. Chissà se ti senti come la badessa della boccaccesca novella delle suore di clausura :-)
RispondiEliminaMi spiace che ti sei persa un bel film dei Taviani... ma adesso riposa e goditi la tua convalescenza casalinga!
Per fortuna mi ero fiondata a vedere quel film appena è uscito! Mi è piaciuto molto, in barba alle critiche dispregiative che ho letto e che continuo a leggere!
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