Vincent Van Gogh, Campo di grano con volo di corvi, 1890 |
Come
il volo di corvi neri su un campo di grano. Stamani: vedere di nuovo quella
camicia arancione, il mio colore preferito, e la testa un po’ china da un lato
di un uomo che aspetta di morire, i suoi occhi come fessure puntate verso
l’orrore. Ronzio alle orecchie, nausea, cuore che batte forte, immagini rapide di tutta una vita e il tentativo vano di abbracciarle un'ultima volta, in un attimo dilatato dalla paura. E accanto l’uomo nero, come quello che minacciavano in altri tempi ai
bambini, che lo tiene in pugno. Ronzio anche alle sue orecchie, cuore che batte forte, eccitazione e paura insieme, ma poi, quando la voce si alza nel proclama, il vuoto dell'anestesia emozionale. Uno è inginocchiato accanto al padrone della sua vita, l’altro, rigido e
anestetizzato, è in piedi, avvolto nelle sue parole di onnipotenza come in un mantello più nero di quello che gli copre il volto e il corpo. Misera umanità, la nostra.
V. van Gogh Autoritratto con orecchio bendato e pipa, Arles, 1889 |
Quest’anno dedicherò il mio corso all’intersezione
tra storia individuale e storia collettiva rispetto al conflitto,
all’aggressività e alla rabbia. Le violenze collettive sono legate a guerre,
genocidi, massacri e torture, a conflitti politici, territoriali, culturali e
religiosi; ma anche, in maniera più subdola o meno visibile, all’organizzazione
del lavoro e delle relazioni sociali. Riguardano in primo luogo le vittime e
gli autori, certo; però riguardano anche i testimoni, compresi quelli a distanza. Come noi,
stamani. La nostra domenica di sole è ferita da quell’immagine - l'uomo arancione e l'uomo nero - che non riesco a cacciare
dalla mente.
Nel filmato: il (bellissimo) sogno di Van Gogh, di Kurosawa.
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