mercoledì 19 aprile 2017

I giorni strani

Marina e Parco - Vecchiano, 17 aprile 2017
(come tutte le altre foto di dune e di acque di questo post)
Sono giorni strani questi. Giorni di festa trascorsi senza andare neanche una volta, neppure a corsa e in fretta, al mio paese; ma fa troppo male sapere che non c'è nessuno a guardare l'orologio, a chiedersi il perché di un ritardo, a preparare la tavola, a scrutare giù in basso la strada che si inerpica tutta curve e tornanti.

Caldine (Fiesole), 16 aprile 2017
(come tutte le altre foto di ulivi, prati e fioriture di questo post)
E farebbe ancora più male la partenza, senza più chi ti dice di guidare con prudenza e di non correre e tu che reagisci in qualche modo e pensi a come quella reazione è cambiata tante volte nel corso degli anni.




C'è stato un tempo in cui sbuffavo infastidita; poi, quando me ne venivo via con il bambino piccolo nel suo seggiolone, e caricavo con il ciuccio, il biberon e i pannoloni tutta una montagna di "occorrente", è stato il momento della risposta ironica e della battuta; e diverso tempo dopo,  fino allo scorso anno, di fronte alla fragilità di chi mi salutava, ho solo cercato parole capaci di rassicurare.



Così, domenica, mi sono ritrovata a passeggiare per altri ulivi rispetto a quelli consueti e a socchiudere gli occhi per concentrarmi sull'argento delle loro piccole foglie, tanto diverso dal verde vivo dell'erba, tanto delicato in contrasto con il cielo azzurro della primavera nel pieno della sua arrogante bellezza.



E per tutto il lungo camminare un po' ho mentito a me stessa, fingendo di essere in un'altra campagna, a respirare l'odore di un'altra terra, più familiare e che mi è sempre sembrata più antica di tutte le altre che ho conosciuto.



Mi sono sentita strana anche il giorno dopo, tra le dune del parco di Vecchiano.



Ci andavo insieme ai miei compagni già quando ero studentessa e quasi sempre ci portavamo dietro qualcosa da mangiare e bere e poi facevamo notte con le chitarre e con le chiacchiere.



Ci sono tornata regolarmente, nel corso degli anni, per lo più in primavera e per un paio di stagioni anche d'estate, alla spiaggia attrezzata. Ma sono giorni strani, questi, e mi pare diverso anche ciò che più mi è stato familiare nel tempo. Succede, credo, quando per qualche motivo è necessario ridefinirsi un po'.



Gli ingegneri, riferendosi ai materiali che resistono agli urti e ai traumi, parlano di "resilienza". E in ambito psicologico, da un po' di tempo, questo termine è stato importato in riferimento alla capacità delle persone di trasformarsi per non farsi sopraffare dalle perdite.



Sono giorni strani, questi, perché ci sto provando a ridefinirmi e a essere resiliente, ma nel farlo mi perdo sempre un po', come se non volessi riconoscere del tutto il mondo.



Ieri sera, ormai uscita dalla modalità vacanza, ho cambiato programma all'improvviso e sono andata al cinema a vedere un film strano con l'intento di sentirmi meno strana io, cioè  di riconquistare il senso della differenza tra realtà e illusione.



Era un film lungo - due ore - ottenuto attraverso il montaggio di pellicole perdute e miracolosamente ritrovate, ibernate nel ghiaccio o sotto terra: muti preziosissimi e altri video amatoriali o di cronache d'epoca.



Era un po' come guardare un film di fantasmi per sbirciare, travalicando il tempo, la vita, i volti e la quotidianità di una cittadina intera. Dawson City, che dà il nome al film (Dawson City - Il tempo tra i ghiacci, di  Bill Morrison) era stata la città della febbre dell'oro, nel nord del Canada. 



Una città diventata improvvisamente fiorente e dove arrivavano anche i film; ma rimandarli al produttore sarebbe stato troppo costoso data la sua ubicazione al nord del nord; dunque si finiva per disfarsene, una volta proiettati nelle due sale cinematografiche. Centinaia e centinaia di film sono stati distrutti, per lo più gettandoli nel fiume, o sepolti da qualche parte.



Le pellicole di celluloide, si sa, sono pericolose perché prendono fuoco in modo spontaneo e con grande violenza; un fuoco che non si spegne nemmeno se vengono immerse in acqua: ed è per questa ragione che oltre il settanta per cento dei film muti è andato perduto per sempre.



Il ritrovamento di centinaia di pellicole, perciò, un po' rovinate, ma ancora visionabili, quasi un miracolo di resurrezione, ha dato luogo a un film poetico e molto coinvolgente.

Il cane si chiama Ares e io sarei, diciamo così, la zia (più o meno).
Vederlo è un po' come partire con la macchina del tempo verso luoghi perduti e disperati, dove le donne hanno quei grandi occhi spalancati, resi immensi e profondi dal bistro, e muovano le braccia in quei gesti amplificativi ed enfatici mentre le loro labbra rosse sono disegnate a forma di cuore.



Guardare quelle immagini, ieri sera, e leggere quelle didascalie del film strano che doveva farmi sentire meno strana, non ha che accentuato la mia inquietudine.



Perché mi pareva che il film strano fosse la mia vita con le sue sparizioni inaspettate degli ultimi anni, e che la realtà vera fosse invece quella, inafferrabile, proiettata sullo schermo. 



C'è il sole, stamani, e vado e vengo e mi muovo avanti e indietro tra faccende noiose e altre più piacevoli, facendo di tutto per ritornare, dopo i giorni strani, a essere reale.


1 commento:

  1. Come ti capisco! Sto vivendo giorni strani,tendo a guardare indietro nel tempo, a ciò che sono stata, quasi che un possibile futuro avesse poco da riservami e che il presente fosse solo rassegnazione di vita che va avanti trascinandomi. Ma so che non va bene, non deve essere così,allora come te mi immergo in forme d'arte,dalla pittura, alla scultura, alla letteratura per approdare al cinema...ed ecco che trovo il senso.

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