Roma, dicembre 2016 |
Riordino
le foto di Natale e dintorni e faccio bilanci, un po’ per
rito e un po’ per gioco, come sempre succede quando termina un anno e sta per arrivare quello
nuovo.
Questo è stato un Natale strano, anomalo; il primo che non ho trascorso
in una certa casa, guardando dalle finestre la linea dolce delle colline
familiari e cantando e giocando insieme agli altri della mia numerosa - o ex
numerosa – famiglia.
Ero invece a Roma. Roma che a volte ti si mostra
trasandata, forse persino becera, scurrile, frastornante, ma altre invece ti accoglie
aperta in un abbraccio fatto di sole, di profumi, di voci di bimbi e di
malinconia sottile e discreta che ti genera tenerezza per le sue illusioni, per
una grandezza antica e perduta di cui si respira ancora il rimpianto.
Roma |
Roma |
Il fiume scorre lento, indifferente e silenzioso mentre
ti perdi a guardare i riflessi tremuli degli alberi e delle nuvole nell’acqua
appena un poco increspata.
Ti proibisci da sola di voltarti indietro, di
pensare alla casa fredda, vuota e silenziosa, alle pietre della parte antica del
paese, ai rebbi delle forchette che mani sapienti di madre o di nonna muovevano
alacremente trasformando in candida neve la chiara dell’uovo e poi quell’impasto
giallo e appiccicoso nei dolci che profumavano la cucina.
Viale delle Piagge |
Restano gli alberi, le foglie e l'erba, lo scorrere dell'acqua, la brezza sottile e i riflessi di cose e persone. Restano i luoghi, l'acciottolato delle strade, le panchine e le pietre, testimoni muti e inossidabili dell'inafferrabile.
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