giovedì 17 dicembre 2015

Attraversando di notte la mia piazza preferita


E' la mia piazza preferita da sempre in questa città: ancora abbastanza autentica, poco turistizzata, custode di memorie sconosciute ai più, caleidoscopica e mutevole con le stagioni.


Frequentata di giorno da cani, bambini, lettori solitari, innamorati, pettegole urbane; e di notte da altri innamorati, ma anche da tiratardi perduti in chiacchiere ozioso-filosofiche, la piazza ti accoglie come una madre tenera e complice.


A seconda delle case in cui ho vissuto piazza Santa Caterina (o Piazza Martiri della Libertà, nome meno noto) e le Piagge si sono alternate nel medesimo ruolo di cornice di vita abituale.


Quando abitavo nella vicina via Contessa Matilde, ma anche in seguito, quando vivevo in via San Francesco, andavo a sedermi nelle panchine per studiare, per leggere il quotidiano o per fumare in pace una sigaretta (all'epoca avevo il vizio) dopo avere consumato, sempre sul posto, uno spuntino frugale e solitario; e intanto osservavo le relazioni sociali dei piccioni e degli umani, dei cani e dei bambini. 


I piccioni e le bricioline di pane erano anche uno dei motivi delle permanenze in quella piazza con mio figlio molto piccolo. Anche se non gradivo affatto le confidenze delle altre mamme, in genere relative a lamentazioni nei confronti dei mariti. 



E lasciateli, no? Lasciateli questi mariti che non amate più e che non vi amano più, se mai l'hanno fatto! Ogni volta mi veniva voglia di urlarlo. Invece mi mordevo le labbra, alzavo gli occhi verso le fronde cariche di verde e luccicanti d'oro degli alti platani e magicamente mi sentivo come abbracciata, come protetta anch'io da una sorta di corteccia antica e maculata di chiaroscuri. 


Mi sembrava che la leggera brezza regalasse a quelle piante amiche una voce e mi mettevo in ascolto. Nel tempo sono tornata spesso a confidarmi con loro, mettendomi seduta e quieta, io così piccola e i platani così alti, le cime svettanti verso l'azzurro. Ed è sempre stato terapeutico di per sé guardare le loro chiome fronzute agitarsi piano e poi ascoltarli bisbigliare nenie antiche mentre tutto, come per incanto, si ridimensionava.


Ora la piazza è per me per lo più un luogo di passaggio quando vado a fare lezione poco distante da quelli consueti, al polo Fibonacci. Quando passo loro vicina uno sguardo di complicità ai platani lo getto sempre, ma se posso, se ho anche solo cinque minuti di tempo, mi fermo e mi siedo un po'; mi guardo attorno e ascolto. C'era un monastero, prima dell'arrivo di Napoleone; si vedono ancora i resti delle colonne di quella che doveva essere una costruzione imponente. 


Alcuni anni fa, proprio in questo mese, stavo quasi per prenderci casa. Ne avevo visitata una, in particolare, ma costava troppo e bisognava intraprendere una trattativa complicata. Quella casa l'ho sognata a lungo e ho fantasticato spesso su come sarebbe stata una volta colorata delle mie cose e dei miei affetti. Ho immaginato anche i gatti che correvano attraverso le stanze e come sarebbe loro piaciuto farlo e quali nascondigli avrebbero scelto. 


La vita, però, ti mette a volte davanti all'inaspettato, bello o brutto che sia, e tutto il tuo progettare può frantumarsi all'improvviso. Così infatti, per una serie di vicende imprevedibili capitate di lì a poco, ho finito per non farne di niente e sono rimasta nella vecchia casa. Però - e anche ora che ho traslocato da poco più di un anno in quella attuale e che ne sono felice - ogni tanto mi succede di pensare a come sarebbe stata la mia vita se fossi andata davvero ad abitare lì, nella mia piazza preferita, e quali negozi sarebbero stati i miei fornitori di latte o di pane, quale il panorama che avrei guardato dalla finestra.



Un mesetto fa o poco più mi è capitato di essere invitata a cena da un'amica di recente acquisizione. Abita proprio in quel palazzo, a un diverso piano. Devo dire che quando me ne sono accorta, arrivata al numero civico, ho provato una sorpresa e un'emozione fortissime nel varcare le varie soglie, come di fronte a qualcosa di familiare ed estraneo insieme e proprio per questo capace di turbare profondamente.


La neve delle foto è dell'inverno tra il 2010  e il 2011, cioè successiva di un anno rispetto alle vicende della possibile casa. Gli alberi senza foglie della piazza, quando c'è la neve, brillano della luce della luna, alta nel cielo del crepuscolo e del nitore che viene dal basso.


Non so come dirlo, ma con quei platani ci si può davvero parlare, chiudendo gli occhi, senza emettere alcun suono udibile. E loro rispondono, producono oracoli e preveggenze e ti prestano qualche sogno quando ti sembra di averne esaurita la scorta. I luoghi non sono materia inerte, ma conservano qualcosa dei sentimenti e delle emozioni di chi li ha vissuti. Non so come, ma so che è così.



1 commento:

  1. È quella che io chiamo una piazza parigina, circondata com'è da una corona di alberi. È stata la testimone dello sbocciare del mio innamoramento per quella che fu più tardi mia moglie. Fino a qualche anno fa ci soggiornava d'autunno, per qualche settimana, una giostra d'epoca che ha visto salire le mie figlie allora non ancora scolarizzzate. Adesso costeggio un lato di questa piazza quasi ogni mattina accompagnando a scuola mia figlia.

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