sabato 21 dicembre 2013

Parole e sentimenti.


Gustav Klimt,
Nuda Veritas, 1899

Suscitò un grande scandalo, un anno prima della fine del XIX secolo, la rappresentazione  di Klimt della filosofia. 


Era un corpo nudo di donna di una naturalità struggente, con i peli  pubici esposti in primo piano, frontalmente e senza veli e per giunta di colore rosso come i capelli. 

Tutti potevano facilmente riconoscere, in quella figura simbolica, le fattezze e soprattutto la chioma fluente della sua compagna.



Spesso, nella dimensione intermedia tra la veglia e il sonno, mi piace fantasticare sulle parole e sulla loro possibile origine e storia. Mi capita anche, a volte, di correre un po' con la fantasia inventandomi un percorso etimologico interessante, affascinante e magari anche credibile, per poi  verificare che invece non ha alcuna validità.



Federico Zandomeneghi, A letto, 1878

Parole. Cerchiamo di afferrale, di coglierne la verità e le ripensiamo a lungo quando ci arrivano foriere di dolore oppure  ci aprono al sorriso e alla gioia. A volte rileggiamo più volte una frase di per sé banale, un sms simile a tanti altri, per capire ciò che le parole lasciano solo indovinare, ciò che nascondono o ciò che forse promettono.

Agnes Goodsir, Ragazza che legge una lettera, 1915
Una delle caratteristiche del gergo psicotico e della prosodia cantilenante o dell'ecolalia che lo contraddistinguono si origina dalla distruzione del legame tra parola come suono e parola come significato. Le parole vengono smontate e rimontate secondo un’altra logica: misteriosa, magica, inquietante e inafferrabile. 
Anche quando siamo piccoli giochiamo con le parole considerandole solo come catene di suoni. Ne scegliamo una e la ripetiamo a lungo finché perde di senso e allora ci sentiamo disorientati, quasi non ci fossero più cornici condivise di spazio e di tempo. Quando veniamo al mondo, del resto, le parole sono solo sussurro e carezza; sono la nenia dolce e un po' venata di malinconia che ci accompagna nel perdere consapevolezza e attraversare la notte. 
Per tutta la vita ci serviamo di parole per consolarci della perdita o per colmare la sospensione dell'attesa.

L'alba dalla finestra di casa
Parole. Le usiamo, spesso, per nascondere verità semplici che potremmo capire prima e meglio ascoltando i segnali della natura e del nostro stesso corpo. Le usiamo anche, altre volte, come un ponte gettato a coprire la distanza, ma solo prima dell’abbraccio al quale ci abbandoniamo con gli occhi chiusi e che ci permette di percepire l’odore dell’altro, la sua verità.

Colazione da Tiffany di Blake Edwards, 1961

2 commenti:

  1. Le parole e il linguaggio sono potenti. Sono ciò che differenzia Dio dagli uomini: "In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio". Il linguaggio, soprattutto da quando è diventato scritto e quindi memorizzabile e trasmissibile, è il più potente mezzo di comunicazione, anche se non è il più veritiero (è molto più semplice smascherare una bugia usando il linguaggio del corpo piuttosto che che quello orale o scritto) o il più descrittivo (è più semplice trasmettere una emozione con una imagine o una canzone che con una poesia). È così potente la lingua scritta che è addirittura, ancor oggi, l'unico mezzo con cui l'uomo cerca di imitare la sua capacità di ragionamento mimandola in artifizi elettronici (computer) solo ed esclusivamente usando linguaggi (in questo caso formali) e matematica. Addirittura la Macchina di Turing altro non è che una lunga successione di simboli scritti manipolati da una tabella matematica. E il test di Turing per individuare il pensiero usa volutamente ed esclusivamente(!) il solo linguaggio. Ma purtroppo la realtà "la fuori" non è denotabile da nessun linguaggio sufficientemente potente (ce l'ha insegnato Gödel) e quindi le esperienze più belle non le viviamo quando usiamo questo strumento linguistico bensì quando ci abbandoniamo agli altri sensi e alla nostra anima.

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  2. Grazie di questo commento, che condivido...

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