domenica 4 marzo 2018

Rgnatele, parassiti e simbiotici.


Può capitare a chiunque di restare intrappolato nella ragnatela di un rapporto di sfruttamento materiale o psicologico o misto. Di rimanere sedotto da una lealtà di superficie e da un'apparente amorevolezza che può arrivare quasi a sfiorare una sorta di devozione affettiva, ma che poi si svela, all'improvviso e quando meno te lo aspetti, effimera e inconsistente. 



Può capitare a chiunque, almeno una volta nella vita, di intessere un rapporto di dipendenza rispetto a un'altra persona che per sedurre recita il copione dell'empatia e si rende necessaria, indispensabile per la nostra serenità ma poi, all'improvviso, mostra un volto opposto, comincia a svilirci, denigrarci, distruggerci, ucciderci psicologicamente con il disprezzo unito al desiderio di controllo.


Può capitare di cadere in questa ragnatela nei momenti di particolare difficoltà, quando si è da poco attraversata una perdita o un vero e proprio lutto, una delusione o una grande paura.




Si chiama violenza psicologica e nessuno con un po' di cervello ne rimarrebbe vittima se non si realizzasse, all'inizio, in maniera subdola, pervasiva, vischiosa.


Di solito chi tesse una ragnatela del genere è una persona con un blocco emozionale dovuto a mille possibili esperienze e motivi che a un certo punto, anche da adulto, hanno interrotto il normale flusso della sua vita affettiva. E di solito questa stessa persona affettivamente traumatizzata sceglie come vittime preferite persone forti, empatiche e creative per poterne succhiare vampirescamente la linfa vitale. 




La persona che soffre di un blocco emozionale non riesce più a stabilire legami autentici e dunque crederà di amare o addirittura idolatrerà, ponendolo su un altare di fantasie irrealistiche, chi la rifiuterà o la userà come compagnia in attesa di meglio; mentre fuggirà a gambe levate di fronte alla possibilità di un coinvolgimento vero, con le contraddizioni e i normali ostacoli e difficoltà che una volta terminata la fase dell'attrazione iniziale, amorosa o amicale che sia, costellano un percorso d'amore o di amicizia profondo.


Una relazione tossica come quella che il film ci mostra nel registro del thriller, a lungo andare può generare delle strane forme di rispecchiamento reciproco e la dipendenza diventa una ragnatela double face nella quale si è intrappolati entrambi, parassiti l'uno dell'altro, simbiotici, possessivi, controllanti e reciprocamente diffidenti.



Ci si può salvare? Sì, ma solo attraverso un percorso doloroso di presa di coscienza della propria fragilità. E aiutandosi anche con forme di cura di sé come la scrittura, altra protagonista o possibile chiave di lettura del film. 


Perché si scrive, del resto? I piccoli quaderni di appunti della protagonista, con sulla copertina delle riproduzioni di dipinti di Hopper, infatti, sono quasi una protesi immateriale della sua stessa psiche. E tuttavia la scrittura è un'esperienza ambivalente, sospesa tra lo scrivere per sé oppure per gli altri.




Mi sono seduta in sala appoggiando le mie stampelle (anzi, da due giorni una sola) nella poltroncina rossa accanto a me; sentendomi fragile come ci si sente quando non si può essere del tutto autonomi e si dipende da altri persino per andare al cinema. 


Nel film compaiono proprio le stampelle, dopo la rottura di un osso della gamba che come ho imparato a mie spese non è mai davvero solo la rottura di un osso, ma di un equilibrio psicofisico; e poi c'è la narrazione multimediale di tutte quelle piccole azioni della quotidianità prima banali e che diventano all'improvviso fatiche enormi e ti fanno sentire piccola e debole in balia degli eventi.



La gamba sollevala sulla sedia, il piede non appoggiarlo e se piove come ti difendi e come tieni l'ombrello e se qualcuno ti urta e se ti fai una storta e le chiavi dove sono e il portone a scatto che ti si rivolta contro come fai a tenerlo senza farti male e via e via. Solo afferrare per tempo un cellulare messo in carica un po' distante e che squilla mentre sei a letto diventa un'impresa titanica e magari cadi anche e non sai rialzarti. Proprio come è successo anche a me nei momenti in cui sono rimasta sola in casa. Una trovata geniale, quella della gamba ingessata e delle stampelle, che ho potuto apprezzare proprio in ragione della mia temporanea condizione di adesso.




6 commenti:

  1. Come scrivi bene, cara Antonella! E come sai analizzare le più riposte pieghe della psiche umana... voglio solo esprimerti tutta la mia ammirazione, anche se non conosco, per fortuna, questi sintomi di interdipendenza: un film di certo molto interessante.ö Peccato abitare così lontane, me ne dolgo ogni volta che ti incontro, anche solo per iscritto. Ada, la fedelissima!

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  2. "Il portone a scatto che ti si rivolta contro" mi ha fatto benire in mente questo filmatino che mostra un test in cui si può vedere come SpotMini (il quadrupe robot costruito dalla Boston Dynamic) reagisca agli ostacoli mentre deve aprire una porta.

    In bocca al lupo per la tua completa indipendenza dalle stampelle!

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  3. Trovo buono l'intento e poco corretta l'esposizione. Forse si tratta di un brano scritto di getto.

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    1. Caro Anonimo, questo non è un tema scolastico: se lo fosse stato l'avrei scritto in modo diverso, rispettando in modo pedissequo le regole in funzione della valutazione del docente. Questo, invece, è un post di un blog personale e perciò è scritto normalmente, non di getto, ma nemmeno senza tante preoccupazioni, riletture e trasformazioni fatte per compiacere chi legge. In un post di un blog che vuole raccontare emozioni, impressioni, sentimenti e ricordi sono normali delle licenze morfo-sintattiche. In altre parole e per esempio: omettere le virgolette nel discorso diretto è voluto, per rendere fluida la comunicazione; omettere alcune volte le virgole o altra punteggiatura è voluto, se si desidera rendere l'idea di un pensiero concitato o di un affanno; cominciare con la congiunzione, idem, è voluto, per dare enfasi... Eccetera eccetera. Insomma: ti ringrazio del giudizio, ma qui non siamo a scuola.

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    2. Lascia perdere... certi commenti si dovrebbero ignorare. Soprattutto se anonimi... io metto sempre la firma, non ho niente da nascondere. Ammiro la tua scrittura, ho letto i tuoi libri. Basta. Sempre fedelissima: Ada

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    3. Grazie per le parole sempre preziose
      che sanno in poche frasi creare comunione di sentimenti,
      riflessioni e pensieri che allargano gli orizzonti nella piccolezza/grandezza del quotidiano.
      Silvia

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Scrivere in un blog è come chiudere un messaggio in una bottiglia e affidarla alle onde. Per questo i commenti sono importanti. Sono il segno che qualcuno quel messaggio lo ha raccolto. Grazie in anticipo per chi avrà voglia di scrivere qui, anche solo e semplicemente per esprimere la propria sintonia emotiva.