sabato 24 febbraio 2018

La forma dell'amore


Finalmente, dopo un'astinenza di un mese e mezzo, due giorni fa sono tornata al cinema. Per qualche tempo ancora posso andare solo in sale dove si arrivi con l'auto all'ingresso e accompagnata da persone gentili che me lo propongono, e dunque la scelta è ridotta, ma mi è andata bene.


La forma dell'acqua mi ha tenuta con il fiato sospeso per tutta la sua durata perché, sì, è uno di quei film come piacciono a me. E' un film grottesco perché deve esserlo, e lo è in maniera analoga al melodramma a cui alcuni, infatti, rivolgono le stesse critiche negative.


Irrealistico e dunque superficiale; non modulato nello snodarsi delle emozioni e dei sentimenti, e quindi non credibile; esagerato nella scenografia e nell'atmosfera gotica, e perciò stucchevole o retorico o manierato o furbescamente seduttivo.




A me, invece, è piaciuto proprio per tutto questo: perché è fiabesco, non modulato ed esagerato. Non posso raccontare la  trama per non fare uno sgarbo a chi ancora non l'avesse visto, ma posso almeno dire che mi sono commossa a quell'abbraccio d'amore inaspettato che alcuni hanno percepito come improbabile. 


La persona che amiamo ci appare così: bellissima e strana, e non importa che gli occhi degli altri la vedano in modo diverso, più prosaico e tecnico. L'amore, del resto, assomiglia più a una fiaba che non a un documentario e quando capita di provarlo va accolto come una specie di miracolo che ci precipita in una temporalità acquatica originaria e ci permette di lasciarci andare alle sensazioni più arcaiche, tattili e olfattive.



Sono le sensazioni che ci aiutano a conoscere il mondo prima che sorga la ragionevolezza ma che continuano a orientarci per tutta la vita. Rappresentano la bussola più affidabile che possediamo, capace di impedire che un eccesso della ragionevolezza stessa ci sottragga il coraggio e ci faccia prigionieri delle nostre rassicuranti abitudini.







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