martedì 8 marzo 2016

In questi giorni, vivendo come trasognata

Scale di esterno di ospedale di provincia
Ormai sono diversi giorni, un mese, forse, che vivo come trasognata. C'è una serie di esperienze che sovrastano le altre e sono legate alla necessità di assistere mio padre, ricoverato e lontano da dove abito.
Salire e scendere
Che sia là o sia qua o da altre parti ancora, c'è comunque come un retro-pensiero, quello di mio padre, che occupa la mia mente come una specie di basso continuo sul quale si dispiega qualsiasi melodia, triste o meno triste, frenetica o lenta, declini le mie giornate. Sono davvero come trasognata, in ogni cosa che faccio. Ogni tanto sento la mia voce come se non fosse la mia:"
Mi dice qualcosa, mi dice come va, per favore?"
Qualsiasi cosa chieda a qualunque medico, però, prima ancora che abbia finito di formulare la mia domanda supplichevole, provoca in risposta la frase che non vorrei sentire più e che invece ogni volta, più volte al giorno, si materializza nell'aria, grassettata, inesorabile, incontrovertibile:
"Ha 94 anni, quindi..."
Certo, lo so che la vita ha un termine e che la sua è stata lunga fino a qui; ma perché, se non ha patologie invincibili, ma un disequilibrio del suo metabolismo dovuto alle cure per lo scompenso del cuore, non dovrebbe essere considerato normale che possa vivere ancora un po'?
"Ha 94 anni, cosa vuole, capisce anche lei..."
Che palle! Lasciatemelo dire. Lo so che è un'espressione volgare e anche maschilista, ma che palle e che strapalle con questa storia dei 94 anni che mi sembrano rinfacciati quasi come una colpa!

Esterno di ospedale di provincia: anticipi di primavera.
Un pomeriggio ho detto non ricordo più a quale interlocutore che chiedevo scusa al sistema sanitario - azienda,  a nome di mio padre, se ha la sfrontatezza di essere ancora vivo con circa 16 anni in più dell'aspettativa di vita maschile.
Non ha malattie inesorabili e la sua qualità della vita era buona fino a un mese fa. Quest'estate, per esempio, andava in bicicletta in mezzo al traffico di Cecina. Questo Natale, per esempio, suonava e cantava con noi. E' lucido, legge i quotidiani, discute di attualità con cognizione di causa e camminava con le sue gambe fino a quando, in ospedale, è stato (giustamente) messo a letto. Perché non trovare normale che possa vivere con dignità ancora un po'?
Così mi invento i paragoni, anzi, delle vere e proprie parabole, le più assurde, per far capire che ogni individuo è anche una storia a sé, che non si deve generalizzare, nemmeno se si è medici, e che non importa esserlo, con tanto di laurea e specializzazione post, per scoprire l'acqua calda del fatto che a 94 anni si è vicini al termine del proprio percorso.
Una delle metafore più frequenti che tiro fuori a questo scopo è quella della macchina usata. Ci sono macchine usate che se tenute bene funzionano a meraviglia, come nuove. E mi vergogno di dover paragonare una persona, e cioè mio padre, a una macchina, ma mi sembra che così si entri un po' di più nella mentalità di tipo aziendale che caratterizza la sanità moderna. Mi sembra che così possa risultare credibile che io parli un po' di quel linguaggio aziendale senza che si accorgano troppo che lo aborro. In genere si risponde a questi miei sforzi comunicativi tirando fuori i famosi balzi. Cioè il fatto che gli anziani fanno i balzi indietro, mica sono modulati o sfumati nella loro regressione! No, assolutamente, fanno i balzi! Va tutto bene e poi, all'improvviso, un balzo! E poi un altro e via e via. E a 94 anni, poi! Balzi, solo balzi ci si possono aspettare.

Quasi in cima
So che in situazioni così angoscianti bisogna fare degli intervalli, sia pure piccoli; cioè che bisogna anche staccare, con la mente e con il corpo, se si vuole essere efficaci nell'assistere e nel programmare le cose giuste per il periodo lungo. Allora cerco di prendermi qua e là qualche momento di ricarica di energia. Il coro, per esempio; cantare. Un film ogni tanto. E persino una piccolissimissima trasferta, dopo che era stato dimesso e prima del successivo e attuale ricovero.

da Fuocoammare di Gianfranco Rosi
Riesco a ora tarda a vedere Fuocammare, il bellissimo, ventoso e non retorico film di Rosi. Guardo la notte di Lampedusa e i pini e le acque minacciose e poi i volti e gli occhi dei naufraghi e di colpo vi si sovrappongono quelli spaventati di mio padre all'ospedale. Il retro- pensiero, il basso continuo è questo rovello: come starà ora, se ho fatto abbastanza, se e cosa potrei fare di meglio. 

da Astrosamantha, di Gianluca Cerasola
Seguo affascinata, in un altra sera, l'impresa di Samantha Cristoforetti (Astrosamantha) e il retro-pensiero, il basso continuo, si impone di nuovo all'improvviso e con prepotenza. Infatti a un certo punto mi ricordo di quando ho assistito all'allunaggio con mio padre; mia madre era andata  a letto, aveva desistito; e io, invece, quasi ancora bambina, ero fiera di essere rimasta sveglia con lui. Il retro-pensiero, il basso continuo.

da The Danish Girl, di Tom Hooper
Riesco anche a vedere, a poca distanza l'uno dall'altro, i due diversissimi film su un rapporto omosessuale femminile,
The Danish Girl e Io e lei.

da Io e lei, di Maria Sole Tognazzi
Li apprezzo entrambi nella loro diversità: una storia vera e drammatica il primo e una storia di fantasia, raccontata nel registro della commedia, il secondo. Ma seduta nella sala familiare sono ancora così come ho scritto nel titolo del post, come trasognata. Ci sono e non ci sono. Il retro-pensiero, quello, non mi lascia che per pochi momenti, di tanto in tanto.



Nel visitare la mostra di fotografie di Tina Modotti, una donna mitizzata fin da quando ero una giovane studentessa, il retro-pensiero malinconico si affievolisce un poco, anzi, per un po' sembra quasi sparire; ma abbastanza presto riaffiora e cerca di impadronirsi di me, stimolato dalla pioggia battente, inesorabile.



Si discute molto, tra figli; mi ritrovo persino a litigare: il motivo è lo stesso, è il retro-pensiero, cioè nostro padre e i diversi pareri su quali siano la scelte migliori per il suo bene. Poi ci si guarda, a volte senza parlare, e si dicono molte più cose di quanto le parole non rendano possibile esprimere. Ogni tanto mi viene da pensare che se una volta invecchiata dovessi percepirmi come un impaccio per la società, manipolata e violata nel corpo e nella sua/mia dignità, forse cercherei di raggiungere la finestra più vicina al letto di ospedale e mi lascerei andare, come Tosca che non può più vivere senza il suo Mario e si affaccia giù, dagli spalti del sinistro Castel sant'Angelo, per volare verso la pace e il silenzio.  


Cerco di cacciare il pensiero, ma qualche rara volta ritorna. Mi dico, allora, che la nostra epoca deve essere la più cinica della Storia. La scienza e la medicina hanno fatto progressi enormi per allungare la vita delle persone e incrementare il loro benessere psicofisico, eppure la visione aziendale dell'esistenza che prende sempre più piede sembra quasi annullare tutte queste conquiste. Lo fa suggerendo che sarebbe meglio, per il bene della collettività, che non si vivesse troppo a lungo una volta in pensione, che non si pesasse sul bilancio generale, che non si togliesse spazio ai giovani e abusasse del loro tempo o dei letti disponibili in una corsia di ospedale. A qualcosa del genere certamente pensava mio padre, nelle 24 ore passate  nel corridoio di un ospedale toscano diverso dal precedente, mentre in barella aspettava che si liberasse un letto per lui. Un letto ottenuto, magari, con le dimissioni un po' troppo sollecite di qualche altro. Sorte che di certo sarebbe toccata anche a lui, dopo avere usufruito per un po' del letto agognato, perché così mi pare che vadano le cose, ora. Quella stessa notte, infatti, nel corridoio del pronto soccorso, le persone a dormire in barella erano 12; vestite e con le scarpe, coperte dal lenzuolo verde scuro, con la luce accesa sopra le loro teste e il via vai delle nuove urgenze. Lo so, a casa si guarisce prima ed è anche per il bene del paziente che si vuole dimetterlo presto assicurando cure domiciliari; ma c'è caso e caso e bisogna vagliare, riflettere...


Gustav Klimt, Igea (part. da La Medicina, 1900). Il pannello murale commissionato dall'università non fu apprezzato. Non rappresentava l'apoteosi gloriosa della medicina, come ci si aspettava, ma anche la sua impotenza e le sue sconfitte. Igea, infatti, volge le spalle all'umanità - bambini, donne nude in gravidanza, scheletri... - rappresentata dietro di lei. Klimt lo ritirò. Bruciò in un incendio nel 1945.
Mentre me ne stavo lì, nella notte, in piedi accanto alla barella di mio padre, pensavo amaramente che ci sono molti modi diversi di svolgere il lavoro di cura. Per carità, tutti legali, niente da denunciare. Ma ci sono differenze abissali tra un medico e l'altro, tra un infermiere e l'altro. Il sorriso, la carezza, la parola gentile, non sono nel mansionario. Lo ripeto: per carità, niente di non legale, niente da denunciare. Fanno turni massacranti, sono forse pochi, certo sono stanchi, provati. Di alcuni di loro ricorderò la gentilezza, il calore umano. Non posso dirlo di tutti. E se, una volta vecchia e ospedalizzata, mi sentissi di peso al mondo e non avessi la forza fisica di raggiungerla, quella finestra, per trovare pace? E se, sfortunatamente, mi trovassi ricoverata al piano terra? Ora me ne vergogno, ma ho pensato anche cose così, in certi momenti. 
Il pensiero ritorna a uno degli stacchi che mi sono concessa e lascia vagare nella mente l'immagine di Tina Modotti morta in un taxi, sola nella notte, probabilmente assassinata.



E' un'immagine triste, non c'è dubbio, però mi aiuta, non so come, a cercare  la forza di sopportare quest'epoca ipocrita e paradossale del falso progresso con i suoi miti da nulla, con le sue fanfare bugiarde, con le sue luci ammiccanti. Non vedo l'ora che mio padre torni a casa, fra qualche giorno. Non è colpa delle persone, dei medici o delle infermiere: è piuttosto qualcosa che si respira nell'aria e che viene da fuori; come una sorta di disempatia degli ambienti data da regole, direttive e protocolli applicati rigidamente. Azienda e umanità non appartengono, no, ad aree semantiche compatibili.

2 commenti:

  1. Il mio retropensiero è che in quelle condizioni io forse mi comporterei come Monicelli.

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  2. Ho vissuto e provato diverse volte situazioni identiche a queste.identici sono stati i pensieri, le sensazioni, la rabbia, il rifiuto. Cito solo uno dei tanti ricordi legati a mio padre, a detta dei medici era in coma senza speranza, mentre mi rendevo conto che percepiva tutto. Arrivò un prete con l'estrema unzione, lo cacciai con forti grida di nervoso. Mio padre si risvegliò e visse ancora otto anni. la VITA richiede un grande rispetto, purtroppo molto spesso manca. Mi auguro solo , se dovessi ridurmi in balia degli altri, che mi lascino un po' di dignità.Non so se sia una speranza possibile, spesso tolgono anche questo sacrosanto diritto.

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