lunedì 2 novembre 2015

La giustizia ingiusta



Si resta scossi, attoniti, dopo il film; eppure non presenta sorprese, ma solo la messa in scena di ciò che sappiamo già così bene. E cioè che il mercato ha gli stessi meccanismi della guerra; che è davvero una guerra. Come fa un soldato a sparare a un altro soldato e a ucciderlo? Deve scordare che è un uomo, ridurlo ad alterità totale, disempatizzare con lui.


Così accade nel film che anziché lento, come ho letto in una recensione prima di scegliere di andare a vederlo, prende il cuore di chi guarda e lo tiene sospeso, lo strapazza, lo calpesta, lo ferisce. La legge. L’oggettività delle regole. La giustizia. Nella mia mente risuonano, invece, le parole di Antigone: che cosa terribile quando un giudice equo emette una sentenza iniqua!


Esiste una giustizia ingiusta ed è quella che non tiene conto della cornice, del contesto, della storia di chi è protagonista di un’esperienza perseguibile per legge. Esiste una giustizia ingiusta perché non siamo tutti uguali e la disuguaglianza rende impossibile la libertà, e a volte anche quella di essere rispettosi delle leggi e delle regole condivise. 


E’ ciò che leggiamo negli occhi dell’anziano sorpreso a rubare del cibo e in quelli di tutti gli altri personaggi che nell’ufficio deputato all’umiliare vengono costretti a un percorso all’indietro, al sentirsi precipitare improvvisamente nel passato di bambini in attesa paurosa della punizione dei genitori. La disempatia significa che nell’altro non riusciamo più a vedere un volto e una storia e nel film riguarda il mondo del lavoro. Lo stesso meccanismo, però, si può impadronire di noi ogni volta che ci tocca in sorte giudicare un altro essere umano; sia pure, come capita a me, per decidere il banale e insignificante voto di un esame.


Ieri sera sono andata al cinema nell’ora in cui di solito si cena e con ancora negli occhi la malinconia delle visite rituali di inizio novembre. Per questo, forse, nel buio della sala pensavo che chi vive un dolore grande o l’ha attraversato non può riuscire  ad adattarsi alla legge del mercato.


Come accade al protagonista, la cui ferita sanguinante è la disabilità neuromotoria del figlio, la sua parola disartrica, spezzettata e faticosa, il movimento quasi danzante delle mani che si irrigidiscono a ogni decisione di afferrare un qualche oggetto del mondo, i suoi desideri che non si sa se e quanto potranno realizzarsi.


Anche il mio cuore batte forte come quello del protagonista quando, verso la fine, si sfila lentamente la cravatta e si toglie il completo elegante da lavoro per indossare un maglione, sbottonarsi il collo della camicia e uscire senza voltarsi indietro respirando l'aria fresca, là fuori. Nella notte tornata silenziosa il passo del rientro è lento, e le mani, in tasca, si stringono quasi a pugno, come di solito mi accade quando un film mi coinvolge molto.



2 commenti:

  1. Oltre alla giustizia un altro tema toccato è il rapporto con i colleghi di lavoro. Per quest'ultimo aspetto il film ricorda molto "Due giorni e una notte" dei fratelli Dardenne che ho visto un anno fa.

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    1. Anche a me, infatti, è venuto in mente proprio quel film e non solo per i contenuti; anche per quella particolare amarezza che sembra quasi di respirare.

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