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Questa e le successive sono alcune delle tante tavole e vignette dedicate da Andrea Pazienza a Sandro Pertini tra il 1978 e il 1987. |
2 giugno 2016. Non ho mai sopportato le celebrazioni vuote e
rituali, però credo nel significato della memoria. Questo, per me, è un 2 giugno molto malinconico. E’ il primo in cui il mio babbo non porterà la bandiera alle
celebrazioni nel piccolo paese in cui sono cresciuta. E sarà uno dei tanti in
cui rifletto
sul fatto che la politica rischia di ridursi sempre più a calcolo di voti e alleanze e sia sempre meno terreno di confronto, anche aspro, delle idee.
Le generazioni che ci hanno preceduto ci hanno regalato la possibilità di partecipare, sia pure con tutti i limiti della democrazia delegata, alle decisioni importanti che ci riguardano. E rischiamo di buttare tutto alle ortiche per il disinteresse di molti, per la rassegnazione di altri, per tendenza atavica alla delega, per qualunquismo, per servilismo, per incapacità di usare la propria testa, per un basso calcolo dei vantaggi e degli svantaggi personali.
La lista potrebbe continuare, ma voglio invece pensare che siamo ancora in tempo a non lasciare che l’assuefazione ci abitui a tutto, dai bambini morti nelle acque dei mari alle donne bruciate, come nei roghi dell’inquisizione, da uomini che sostenevano di amarle.
Le generazioni che ci hanno preceduto ci hanno regalato la possibilità di partecipare, sia pure con tutti i limiti della democrazia delegata, alle decisioni importanti che ci riguardano. E rischiamo di buttare tutto alle ortiche per il disinteresse di molti, per la rassegnazione di altri, per tendenza atavica alla delega, per qualunquismo, per servilismo, per incapacità di usare la propria testa, per un basso calcolo dei vantaggi e degli svantaggi personali.
La lista potrebbe continuare, ma voglio invece pensare che siamo ancora in tempo a non lasciare che l’assuefazione ci abitui a tutto, dai bambini morti nelle acque dei mari alle donne bruciate, come nei roghi dell’inquisizione, da uomini che sostenevano di amarle.
2 giugno 2013. Ogni anno ne scrivo, a volte per criticare l’idea che la celebrazione si possa risolvere in una parata militare, altre per ricordare che per la prima volta in questo paese noi donne abbiamo votato; in genere, comunque, per porre l’accento sul fatto che si tratta di una ricorrenza importante e che perciò non dobbiamo ridurla a un rituale vuoto.
Quest’anno non avevo voglia di scriverne e nemmeno di pensare a cosa sia rimasto e cosa si sia perso di quella memoria storica. La mattina è passata in fretta, tra la pasta al forno da cucinare e poi mettere in una cesta insieme con altre pietanze per andare da mio padre, lo guerre civili tra il gatto Ulisse e la gattina new entry Margot, qualche mail urgente, qualcosa da riporre. Un giorno come un altro.
A Montecatini (quello non terme) ho trovato, invece, mio padre con ancora la medaglia appuntata alla giacca mentre una bandiera era mollemente appoggiata sul divano del tinello. Ah, già. Perché è il 2 giugno e anche qui si festeggia, ci sono le bancarelle, la musica in piazza e stamani c’è stata un cerimonia e la banda.
Mio padre era l’unico ex combattente presente alla cerimonia. L’altro sopravvissuto, su per giù suo coetaneo, non esce quasi più da casa e dunque mio padre, ormai da un po’ di tempo, è l’unico testimone in questo piccolo paese e deve portare la bandiera, in questa e in altre occasioni simili.
Mi ha chiesto di fotografarlo insieme al nipote, cioè a mio figlio e poi ha voluto una foto insieme con me, in entrambi i casi con la bandiera. Sembrava un gioco, una cosa un po’ buffa, ma forse esprimeva anche il bisogno di rassicurazione sulla continuità e sulla memoria storica.
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Mio figlio aveva ancora i capelli lunghi qui. |
Quest’anno il 2 giugno lo ricordo così: con la foto di mio padre e della sua bandiera.