Antigone: "(...) Logica idiota, penserai. Chissà. Forse è l'accusa di idiozia, idiota" (Sofocle, Antigone).
Un bambino si prende cura volentieri di un piccolo animale di casa; o anche di una bambola; o di un pupazzetto di peluche e più è rovinato, sdrucito, macchiato e più ci tiene e lo ama.
Nikolai K. Boderevski, Bambina con il gatto, 1905 |
Lui così piccolo e dotato di nessun potere decisionale si identifica con quell’altro essere, vivo per davvero o per gioco, che di
potere ne ha ancora meno.
Un
po’ allo stesso modo accade al protagonista del film che ho visto
ieri sera.
Un uomo schivo e abitudinario fino all’inverosimile si occupa, per lavoro, di rintracciare i parenti delle persone che muoiono sole, prima che vengano cremate. Ma lui va molto oltre il proprio dovere e organizza loro persino il funerale; del quale è l'unico partecipante e per il quale scrive il sermone al pastore corredandolo di tutti i dettagli della vita del defunto che deduce dalla sua casa. E noi veniamo accompagnati a entrare proprio nelle case di quelle persone, così sole che più sole non si può, e a guardarci attorno con i suoi stessi occhi, provando la sua stessa tenerezza. Ci sono i panni sul termosifone, appesi ad asciugare; o la fila dei collant, nel bagno. Poche foto, qualche lettera, le stoviglie di pranzi e cene frugali - sempre le stesse pietanze - e il tavolo piccolo, nella cucina, che per uno basta e avanza. A volte un gatto o un cane guardano con occhi grandi e smarriti un minuscolo universo che si frantuma con la perdita del proprio punto di riferimento umano.
John May, il protagonista del film, mentre lavora al suo tavolo di ufficio |
Un uomo schivo e abitudinario fino all’inverosimile si occupa, per lavoro, di rintracciare i parenti delle persone che muoiono sole, prima che vengano cremate. Ma lui va molto oltre il proprio dovere e organizza loro persino il funerale; del quale è l'unico partecipante e per il quale scrive il sermone al pastore corredandolo di tutti i dettagli della vita del defunto che deduce dalla sua casa. E noi veniamo accompagnati a entrare proprio nelle case di quelle persone, così sole che più sole non si può, e a guardarci attorno con i suoi stessi occhi, provando la sua stessa tenerezza. Ci sono i panni sul termosifone, appesi ad asciugare; o la fila dei collant, nel bagno. Poche foto, qualche lettera, le stoviglie di pranzi e cene frugali - sempre le stesse pietanze - e il tavolo piccolo, nella cucina, che per uno basta e avanza. A volte un gatto o un cane guardano con occhi grandi e smarriti un minuscolo universo che si frantuma con la perdita del proprio punto di riferimento umano.
A sera il protagonista torna a casa, solo, in una cucina sguarnita e troppo linda, non dissimile da quelle che ha visitato durante il giorno; e dopo la cena
sistema le foto trovate in quelle case in una serie di album personali, di un
colore azzurro intenso, e le riguarda, donando a tutti quei non più esistenti
una fugace forma di vita.
Creonte è seduto sul trono e Antigone è la seconda da destra |
A fare da deuteragonista a questa specie di Antigone in pantaloni c’è un
personaggio così squallido che certo non possiamo in alcun modo paragonarlo a
Creonte. Esibisce la razionalità della logica del cinismo becero, cioè del che
ne sanno, in fondo, i morti. Non vedono, non sentono.
La mia vita è molto diversa da quella del protagonista del film e così la
mia personalità rispetto alla sua. Però capisco bene la sua tenerezza perché assomiglia a
un sentimento che anche a me, spesso, capita di provare. Alcuni si stupiscono che una
persona come me, portata, salvo alcuni momenti particolari, più al riso e al
gioco che alla tristezza, sia appassionata di cimiteri e desideri, a volte, visitarli,
come complemento essenziale della conoscenza di una città. Penso, infatti, che
si possa capire molto di più della filosofia di vita di una comunità osservando
proprio la città rovesciata in cui si consumano le separazioni definitive. E se voglio bene a
qualcuno finisco, a volte, per visitare i luoghi nei quali è custodita la memoria delle
sue perdite, per essergli anche così più vicina. Di questo mio interesse, che non ha niente di morboso o di funereo e che è legato, al contrario, al mio attaccamento per la vita e per i suoi doni, ho scritto altre volte e così, invece di ripetermi
e annoiare me stessa, faccio riferimento a una nota meno recente sull’argomento.
Per leggerla basta cliccare qui.
Prendersi cura di qualcuno, anticamente, significava preoccuparsi per lui, consolarlo
ed essergli vicino senza alcun riferimento all’utilità razionale
di tale sollecitudine. La cura, anche in ambito medico, non era correlata solo alla
guarigione, che poteva o meno realizzarsi, ma aveva valore di per sé. Oggi la
nostra idea di “utile” non è più legata alla ricerca della felicità condivisa, come
è sempre stato proprio, invece, delle dottrine filosofiche comprese nel termine “utilitarismo”,
ma si è ristretta ad un mero uso letterale, e per questo meschino, del termine.
Mi ricordo la mia ultima volta in cui sono entrata in un cimitero. Era un cimitero per me sconosciuto, non aveva memorie "mie" custodite ma decisi di visitarlo perchè mi trovavo nella zona.
RispondiEliminaRicordo la sensazione che provai quando entrai, come se quel luogo volesse raccontarmi delle storie.
Forse il cimitero è come un libro cui possiamo leggere racconti. Vite diverse, dolori e amori diversi. Alcune vite possiamo solo immaginarle, altre possiamo anche conoscerle perchè più famose di altre. Ad esempio scoprii in seguito che quel cimitero custodiva la memoria di un amore tra due donne e le idee di un fisico russo anti-vivisezionista. Storie vicine o lontane dalla propria. Storie di vite che non abbiamo mai conosciuto se non quando si sono concluse. Ma alle volte ci sembrano più vicine di vite con le quali interagiamo tutti i giorni.
Mi capita a volte di pensare che siamo tutti soli. Mi capita sempre più spesso. Malgrado la vicinanza delle persone care, non riesco a sentirmi non-solo. Del resto, se non sbaglio, il termine "solo" può anche indicare una certa completezza che l'individuo rappresenta di per sé. Solo come uno, come completo, non separato. Eppure ci troviamo sempre a disagio al pensiero d'esser soli. Ci è stato sempre detto che la solitudine è indice di non appartenenza a un gruppo, di diversità, di patologie, di qualcosa che non va. Ci si affretta allora a fingere di non esser soli, a consultare psicologi o sacerdoti. Intanto il tempo passa, e si è soli, e si spera che questo cessi. La morte ci prende poi improvvisa, e interrompe il flusso degli atti quotidiani. La cura che gli altri ci donano allevia la nostra solitudine, la vernicia di una tinta brillante, ma non riesce a cancellarla agli occhi della nostra anima.
RispondiEliminaE' vero, si è sempre considerato l'aspetto negativo della solitudine, quello assimilato all'emarginazione. Invece la solitudine è un Giano bifronte. L'altro volto è quello della competenza. Sono convinta che solo chi sa stare solo è capace di relazioni non superficiali, non giustificate dalla disperazione, ma basate, almeno un po', sulla scelta. La solitudine positiva è lo spazio della regressione nel proprio passato, per indossare uno dei differenti Io che siamo stati, magari nella dimensione del sogno o in quella immaginaria della rêverie.
RispondiEliminaMi spariscono i commenti se fatti come blog, fra i quali quello a Sandra che c'era e non c'è più.
RispondiEliminaAllora copio il mio commento su facebook..
RispondiEliminaNon non spariscono i vostri, ma i miei! E' sparita la risposta che ti avevo scritto...non so per quale mistero informatico
RispondiEliminaOra sembra tutto risolto. Boh. Io mi muovo spesso per prove ed errori in rete. Mi arrabbio com il computer che è innocente e agisco d'impulso. Quindi risolvo quasi sempre, ma poi non so come ho fatto!
RispondiEliminaEh ti capisco :) Allora aspetto che ricompaia. :)
RispondiEliminaHo trovato il film molto bello, anche per il messaggio che propone: prendersi cura di una persona per il piacere di essere vicino a questa persona, di condividerne emozioni e tratti di strada assieme senza un'ottica meramente utilitaristica, è qualcosa di tanto desueto da essere diventato ormai rivoluzionario. Come dici tu nella nota: è un messaggio di vita, niente a che fare con la morte! Adele
RispondiEliminaSapevo che ti sarebbe piaciuto Adele! Ieri sera sono andata a vedere l'altro film, quello delle 20.30 e quasi quasi mi sarei fermata a rivedere questo; poi ha prevalso la stanchezza...(Per commentare direttamente con il tuo nome basta che tu clicchi su nome/URL , la barra sta per "o" nome "o" URL, e scriva semplicemente "Adele").
EliminaQuando l'ho letto ho pensato a questo blog! :)
RispondiEliminahttp://titolidicoda.com.unita.it/politica/2014/01/08/still-life-la-compassione-dellimpiegato/