Gustav Klimt, Nuda Veritas, 1899 |
Suscitò un grande scandalo, un anno prima della fine del XIX secolo, la rappresentazione di Klimt della filosofia.
Era un corpo nudo di donna di una naturalità struggente, con i peli pubici esposti in primo piano, frontalmente e senza veli e per giunta di colore rosso come i capelli.
Tutti potevano facilmente riconoscere, in quella figura simbolica, le fattezze e soprattutto la chioma fluente della sua compagna.
Spesso, nella dimensione intermedia tra la veglia e il sonno, mi piace fantasticare sulle parole e sulla loro possibile origine e storia. Mi capita anche, a volte, di correre un po' con la fantasia inventandomi un percorso etimologico interessante, affascinante e magari anche credibile, per poi verificare che invece non ha alcuna validità.
Federico Zandomeneghi, A letto, 1878 |
Parole. Cerchiamo di afferrale, di coglierne la verità e le ripensiamo a lungo quando ci arrivano foriere di dolore oppure ci aprono al sorriso e alla gioia. A volte rileggiamo più volte una frase di per sé banale, un sms simile a tanti altri, per capire ciò che le parole lasciano solo indovinare, ciò che nascondono o ciò che forse promettono.
Agnes Goodsir, Ragazza che legge una lettera, 1915 |
Anche quando siamo piccoli giochiamo con le parole considerandole solo come catene di suoni. Ne scegliamo una e la ripetiamo a lungo finché perde di senso e allora ci sentiamo disorientati, quasi non ci fossero più cornici condivise di spazio e di tempo. Quando veniamo al mondo, del resto, le parole sono solo sussurro e carezza; sono la nenia dolce e un po' venata di malinconia che ci accompagna nel perdere consapevolezza e attraversare la notte.
Per tutta la vita ci serviamo di parole per consolarci della perdita o per colmare la sospensione dell'attesa.
L'alba dalla finestra di casa |
Parole. Le usiamo, spesso, per nascondere verità semplici che potremmo capire prima e meglio ascoltando i segnali della natura e del nostro stesso corpo. Le usiamo anche, altre volte, come un ponte gettato a coprire la distanza, ma solo prima dell’abbraccio al quale ci abbandoniamo con gli occhi chiusi e che ci permette di percepire l’odore dell’altro, la sua verità.
Le parole e il linguaggio sono potenti. Sono ciò che differenzia Dio dagli uomini: "In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio". Il linguaggio, soprattutto da quando è diventato scritto e quindi memorizzabile e trasmissibile, è il più potente mezzo di comunicazione, anche se non è il più veritiero (è molto più semplice smascherare una bugia usando il linguaggio del corpo piuttosto che che quello orale o scritto) o il più descrittivo (è più semplice trasmettere una emozione con una imagine o una canzone che con una poesia). È così potente la lingua scritta che è addirittura, ancor oggi, l'unico mezzo con cui l'uomo cerca di imitare la sua capacità di ragionamento mimandola in artifizi elettronici (computer) solo ed esclusivamente usando linguaggi (in questo caso formali) e matematica. Addirittura la Macchina di Turing altro non è che una lunga successione di simboli scritti manipolati da una tabella matematica. E il test di Turing per individuare il pensiero usa volutamente ed esclusivamente(!) il solo linguaggio. Ma purtroppo la realtà "la fuori" non è denotabile da nessun linguaggio sufficientemente potente (ce l'ha insegnato Gödel) e quindi le esperienze più belle non le viviamo quando usiamo questo strumento linguistico bensì quando ci abbandoniamo agli altri sensi e alla nostra anima.
RispondiEliminaGrazie di questo commento, che condivido...
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