sabato 11 agosto 2018

Mare, piante, pietre, bipedi e quadrupedi a Corfù

Corfù, intesa come città, dall'alto
Mi piace raccontare con foto e parole di accompagnamento i luoghi. Un po’ lo faccio per me, per fermare i ricordi, e un po’ anche per pubblicizzare quelli non di moda o meno conosciuti di una meta di viaggio, che preferisco di gran lunga ai chiassosi ritrovi omologanti, uguali un po’ in tutto il mondo occidentale e negli spazi degli altri che ha colonizzato culturalmente.

Foto con soggetto non di moda, sempre guardando Corfù città dall'alto
Siamo in tre e abbiamo una piccola casetta in affitto in un vecchio villaggio in collina, ma anche un’auto a noleggio per spostarci al mare o altrove.

Eccoci sulla strada in salita per il Monastero di Paleokastritsi, che abbiamo eroicamente percorso a piedi lasciando l'auto da basso, per amore di panorami e  foto. E forse anche per vantarcene dopo.
La spiaggia più vicina è Agios Gordios, a circa
 10 o 15 minuti che possono aumentare se è l'ora di punta.

La spiaggia di Agios Gordios dall'alto. Fotografarla ci è costato un litigio con un'altra auto per il parcheggio nella lunetta del belvedere.
C
omincio con i pochissimi aspetti critici, uno dei quali è l’auto, non adatta per le salite, e che dunque singhiozza e arranca ogni sera quando rientriamo.

Paleokastritsi, discendendo verso l'auto lontana.

A questo si aggiunge il fatto che è stata noleggiata dalle mie compagne di viaggio e dovendo dare due soli nomi per la guida hanno fornito i loro. Così non ho potuto guidare, pur essendo, date le mie origini, l’unica abituata a strade impervie e in salita/discesa estreme.


Come sopra, ma forse in salita
E tuttavia questo è stato anche un bene perché quanto a parcheggio mi irrito subito e non mi sento tanto brava e là,  il parcheggio, è veramente un atto creativo di ribellione e astuzia; un arrembaggio in cui si arriva a mettere la macchina quasi sopra agli alberi o appesa ai lampioni, in luoghi improbabili raggiunti a prezzo di sudore e fatica. 


Un esempio di parcheggio creativo (non nostro) in città.
Poi, tra le criticità, c’è la questione della vespa. Non delle vespe, ma di una vespa, al singolare, perché secondo me è sempre la stessa che a Corfù si materializza su di me, dietro di me, davanti a me e sul mio piatto o bicchiere o libro ovunque mi trovi.



Sono allergica e quella vespa lì deve essere stata assoldata da un'agenzia turistica per farmi diventare protagonista di uno spettacolo comico di animazione capace di rallegrare un po’ tutti i presenti.  Lo spettacolo inizia con dei gridolini isterici e dei saltellii non aggraziati in crescendo entrambi.

La distensione serale, a vespa dormiente
Poi, giunta all’acme della crisi di terrore, un cameriere o lo stesso proprietario, con aria solenne e passo ieratico svelto (che sembra un po’ un ossimoro) mi mette vicino certi ciottolini in coccio fumanti.


Anche in spiaggia la mia vespa non viene che raramente

Quei suffumigi dovrebbero fare andare via, disgustata, la mia vespa personale, ma lei, invece, secondo me li gradisce molto, tanto che ogni volta ci danza sopra tutta felice.



Corfù è verde, si sa, e non sembra neanche di essere in Grecia. E i suoi colori dominanti, tra case e natura, non sono il bianco e l’azzurro, ma sono più drammatici, decisi e soprattutto caldi.



L’arancio e il giallo delle case sono intervallati da una sorta di rosso pompeiano particolarmente intenso. 




I medesimi colori passionali si ritrovano anche nei monasteri.


Cortile interno di monastero con gatto ascetico e in tinta fotografato mentre medita
Quei colori e altri affini si ritrovano ancora nelle curatissime fioriture che non mancano mai.


Uva acerba con fiore gigante
Per il mare non conviene andare nei luoghi troppo turistici – li abbiamo visti, per gli aspetti paesaggistici, per lo più dall’alto – perché sono infestati da rumori e vortici di motoscafi che servono per giochi idioti nell’acqua.


Dall'alto, motoscafi da riva e altre nefandezze

I giochi idioti sono tipo darsi a un falso sci di mare o essere sollevati come se fintamente volassimo. In questi stessi luoghi ci sono anche gli odiosi quad che stanno infestando anche i nostri monti e mari, d’estate e d’inverno, pericolosi perché instabili, ma anche rumorosi e subdoli per chi si sposta a piedi.



Dall'alto, una delle spiagge da evitare, benché belle. D'inverno, invece, deve essere tutto un altro discorso.
Bisogna perciò scegliere luoghi meno frequentati e ce ne sono di bellissimi anche per chi, come noi, non ama gli scogli.
 
Spiaggia di Alonáki, lunghissima e ampia, tra lago e mare. Acqua limpida, silenzio, profumo di salsedine e lo sguardo che si può perdere nell'orizzonte.
Sono spiagge lunghe, di sabbia calda e fine, quasi sempre anche attrezzate in maniera non invasiva con ombrelloni e lettini per usufruire dei quali, anche per un’intera giornata, basta una normale consumazione.
 

Il mare è trasparente e per lo più acceso nei suoi blu e azzurri. Forse quello che mi piace di più è a Chalikpunas, praticamente nel punto di congiunzione con la palude e la propaggine del lago di Korission.
 
Sempre Alonáki, ma gurdando la larga distesa di acqua dolce alle spalle della spiaggia e del mare.
Nella baia sabbiosa di Alonáki, di un bellissimo color ocra acceso, si ha davanti il mare e alle spalle l’acqua dolce.  

Come sopra, ma al momento del rientro

Ci sono poi tanti piccoli cespugli di gigli di mare quasi sul confine tra i due ambienti naturali.


Gigli di mare di Alonáki
I villaggi e i paesini si assomigliano un po’ tutti e si può cenare in maniera meno turistizzata in qualche tradizionale taverna sulla piazza, a fianco dei bambini che giocano incustoditi e degli adulti che si godono il fresco delle piante e le chiacchiere oziose della veglia.



La memoria della vita paesana e di villaggio si può ripercorrere in un piccolo museo antropologico, raccolto e ben tenuto, a Sinarades, che è proprio il villaggio in cui abbiamo affittato la casa.



Vi si trovano esposti una serie di oggetti casalinghi, testimoni di una vita semplice e ritualizzata e dell'affidarsi alle tantissime figure di santi protettori la cui presenza è richiamata non solo dalla toponomastica, ma anche dagli omaggi votivi ai bordi delle strade.

Tipico altare votivo da camera rurale

Ci sono anche curiosità varie, come due diversi sgabelli usati per partorire nella posizione che sarebbe la più naturale, cioè da sedute. 

Sedia gestatoria tradizionale
I monasteri sono tantissimi, come del resto le chiese.

Vlacherna

Quello dedicato alla Madonna di Vlacherna è forse il più strano, come collocazione, perché si trova in basso, sul mare, nella propaggine estrema di una penisola.


Anzi, per dirla meglio, è su una piccola isola collegata alla terraferma da un pontile che si percorre a piedi. Solitario e tutto bianco, nell’azzurro del mare, ha qualcosa di surreale che diventa ancora più tale quando ci accorgiamo che sopra transitano a quota bassissima gli aerei del vicino aeroporto.


Un po' troppo vicini, forse...

Infatti lo salutiamo dall’aereo, il giorno della partenza, dato che siamo ormai consapevoli della sua sottostante esistenza e riusciamo a riconoscerlo.  

L'isola minuscola alle spalle del monastero

Ci sono gatti come in tutti i monasteri che visitiamo e che a volte ospitano anche altri animali. 


Gatta del monastero mentre allatta i suoi mici
Nel piccolo monastero femminile di Santa Eufemia, del periodo veneziano, troviamo anche gallo, galline e una capra che al nostro arrivo, dato che i visitatori sono davvero rari, ci corrono incontro curiosi. 




Ci sono anche qui numerosi gatti uno dei quali ci fa da guida precedendoci nei nostri spostamenti come se sapesse ormai quello che di solito si fa in quel luogo, cosa si guarda e cosa si fotografa.

Gatta del Monastero di Sant'Eufemia
Gli animali, cioè i gatti, non mancano nemmeno nel Monastero di Paleokastritsa, che ha lo stesso nome del luogo in cui si trova. 


Micio esibizionista del Monastero di Paleokastritsa

Il monastero sorge in alto, sul promontorio da cui si può guardare il mare all’infinito e da ogni parte.



E' tutto colorato di giallo intenso e caldo e di arancione e pieno di fiori dalle stesse sfumature cromatiche.  Al suo interno ospita anche un piccolissimo museo di icone e oggetti sacri.



Vorrei acquistare la musica che si sente in sottofondo dentro e fuori, una sorta di gregoriano, ma un po' diverso da quello che conosco e amo.




Tuttavia il monaco che è al bancone, stupito e ascetico, dice che non ci sono CD e proprio solo perché insistiamo per saperne di più ci comunica che si tratta della liturgia di San Demetrio (se ho capito bene) e che ci si arrangi in città, ma credo di capire che secondo lui non si troverà niente, dato che scuote la testa.



Però, nel rammarico per la musica non trovata, la mancanza di furbizia commerciale, esibita proprio nell'agosto vacanziero, non mi dispiace affatto. La liturgia di San (forse) Demetrio la cercherò più avanti, semmai.




Non potevamo non visitare l’Achilleion, voluto da Elisabetta d’Austria mentre era ancora in lutto stretto per la tragica morte del figlio Rodolfo.



E' un esempio fastoso di capriccio imperiale costruito buttando giù antichi e splendidi palazzi nobiliari e progettato in maniera totalmente stonata rispetto alla sua cornice, cioè al paesaggio naturale e ai colori delle parti antropizzate dell'isola.



All'esterno è luminoso, nei colori del giallo chiaro e del bianco, e all'interno è invece scuro e serio, in gran parte tinteggiato con colori di tonalità fredde e cupe, pieno di fregi, stucchi e statue falso antiche. 

Qui siamo proprio nell'atrio  e l'ingresso in una diversa dimensione cromatica sollecita anche stati d'animo differenti

Un altro aspetto interessante dell’Achilleion è proprio il fatto che è pensato sulla base di una mitologia di maniera. 




Una mitologia declinata prima al femminile, con l’Achille drammaticamente accasciato su un fianco, ferito e fragile, voluto dall’imperatrice Sissi...


Visto di spalle il drammatico Achille ferito di Sissi

...e poi al maschile, con un fiero Achille elmoscudoelanciamunito voluto, invece, dal successivo proprietario, Guglielmo II imperatore tedesco.

L'Achille spodestatore di Gugliolmo II

Acquistando il palazzo qualche anno dopo l’attentato che aveva causato la morte dell’imperatrice Sissi quest’ultimo l’aveva anche trasformato e aveva spostato nell’attuale posizione decentrata e vista mare Achille ferito per mettere al suo posto l'altro, vittorioso e virile, ma di gran lunga meno interessante. 

L'Achille spodestato di Sissi visto di fronte

Un ulteriore e personale motivo di interesse per l'Achilleion è legato a Sissi e al fatto che in questa donna bizzarra e intelligente mi sono imbattuta per i miei studi sul disturbo anoressico di cui portava tutte, ma proprio tutte, le stimmate. 


Non sono una cultrice della sua persona, anche se so che esistono schiere di donne adoratrici di tutte le età, infervoratesi, in qualche caso, per via dei film falsificanti degli anni 50 con Romy Schneider. 

Sissi in statua, fuori dal palazzo, che fotografo a metà per impazienza. Sotto, infatti, ci sono le fans che si fanno fotografie vicendevoli abbracciate alle sue gonne

Mi sembra di poterne individuare alcune anche tra i visitatori del palazzo, in particolare tra quelle che si fermano molto davanti alla statua di lei posta all'ingresso o alla Saffo in marmo raffigurata di profilo, con i capelli al vento e un seno scoperto.


Saffo
Dopo l'Achilleion cerchiamo ristoro in un locale più sotto per via della terrazza con vista mozzafiato a trecentosessanta gradi sul mare e sulle coste frastagliate alla base dei promontori. Non facciamo i conti, però, con la solita vespa personale che si materializza all'improvviso anche qui e interrompe l'idillio bucolico-fotografico costringendoci a ripiegare all'interno per mangiare in pace la nostra insalata greca.


Qui fotografo le fotografe ignara dell'imminente arrivo della mia vespa d'affezione.

Scopo dell'insalata del pranzo, come nei giorni precedenti e successivi, è soprattutto quello di lenire i sensi di colpa per la cena della sera prima, di certo meno salutare e più abbondante, e di permetterci con ancora meno sensi di colpa di ripetere altrove un'analoga cena la sera stessa.

Cena con vista 
Il nostro ritmo gastronomico è un po' sempre questo: colazione abbondante a casa, insalata greca salutare (ma anche buona) a pranzo, e poi cena libera in ogni senso e dunque goduriosa.

Una diversa cena con vista


A Corfù intesa come città andiamo due volte, di mattina e al crepuscolo.

Corfù città, con ombra di una delle mie amiche che fotografa

La prima tappa, un po' per colpa mia che ho un’insana predilezione per le visite ai cimiteri e un po' grazie all'avere trovato casualmente il parcheggio nei pressi, è al piccolo Cimitero degli inglesi. 



Testimonia memorie di marinai, anche morti in battaglia, e di inglesi innamorati dell’isola. Scopriamo con sorpresa che non è ancora del tutto dismesso.


Troviamo anche lì un animale guida, una piccola tartaruga che si muove sicura tra le piante e le lapidi rese poco leggibili dal tempo.





Il cimitero meriterebbe un restauro, una cura maggiore, qualche spiegazione scritta, ma è comunque un luogo suggestivo, collocato com'è non ai margini, ma dentro la città, proprio all'ingresso di quella vecchia e in parte pedonalizzata. Siamo felici di averlo visitato.





Corfù è una città strana, un po’ misteriosa, dai molti volti perché attraversata da inglesi e austriaci, un po' anche dai francesi e per il tratto temporale più lungo dai veneziani che dominarono l’isola per quasi cinque secoli stabilendovisi in molti.



L'italiano era infatti la seconda lingua fino a che nel 1870 non ne fu proibito l’uso. Anzi, più che la lingua italiana sembra si parlasse il cosiddetto “veneto da mar”.


E in effetti il centro storico, denominato “campiello”, è in piena architettura veneziana con i suoi vicoli stretti, le case alte e l’improvviso aprirsi al mare o ad ampli spazi come la grande piazza chiamata Spianáda.


Era
 praticamente la piazza d’armi veneziana creata spianando letteralmente al suolo gli edifici per potere difendere meglio la città e poi, dopo il dominio veneziano,  arredata a parco con tanto di campo di cricket inglese.


A un’estremità della Spianáda è collocato il grande Paléa Anáktora, un palazzo con un lungo portico dorico oggi sede museale.


E c’è poi la Fortezza Nuova, che per una delle mie compagne di viaggio, orgogliosamente livornese, sia pure della provincia, ricorda inequivocabilmente, e un po’, devo dire, anche a ragione, la città labronica.


Questa sua convinzione viene espressa su Facebook e documentata con foto fatte ad arte per suffragare l'idea e naturalmente riceve l’assenso e il plauso immediato dei suoi concittadini. 

Anch'io ho la mia foto in cui Corfù ricorda un po' vagamente Livorno

Il fascino di Corfù, però, si respira meglio al tramonto e nella notte per le mille luci sul mare e sulle sue due fortezze, la nuova e la vecchia, che si possono ammirare anche dall’alto. 



Per questo saliamo sulla terrazza di un hotel di lusso nella quale decidiamo di consumare una semplice bevanda allo scopo di scattare cinquecentomila foto ciascuna.



La cena, infatti, dato che si tratta dell'ultima sera, vogliamo farla sul porto nuovo, tra le case piccole e variopinte e gli odori del mare. 

Le cozze più buone le abbiamo mangiate qui, ma all'aperto, guardando il mare.
Ridiamo tantissimo per tutta la vacanza, pur in qualche difficoltà tecnica non rara che ci capita di attraversare e giochiamo.



Spesso sbagliamo strada, ma anche perché, a Corfù, alcuni termini orientativi hanno accezioni molto soggettive.

Indossando una parrucca disposizione degli ospiti del locale
“A diritto”, per esempio, può significare anche che bisogna andare a destra o a sinistra ed è necessario interpretare; e “a sinistra" può anche significare che bisogna proseguire sulla strada maestra che svolta a sinistra.
Abbiamo dedicato del tempo al gioco che consiste nel farsi selfie allo specchio prima che altri vi vengano riflessi alle nostre spalle.
I cartelli con le indicazioni non di rado sono coperti da frasche e rami non potati e poi gli autoctoni guidano come forsennati per tornanti e ripide salite e la nostra macchina, invece, spesso singhiozza, ansima, sembra non farcela e due o tre volte abbiamo un po' paura che ci lasci a piedi. 





Temiamo di dovere andare a piedi anche la prima sera, al buio totale di una strada un po' fuori dall'abitato in cui abbiamo parcheggiato. Non riusciamo a trovare il modo di accendere i fari, ignare dell'esistenza di una manopola tipo quella della lavatrice messa a lato del cruscotto, in basso, che va ruotata prima di azionare la leva delle luci. 

Gioco dello specchio, qui non riuscito
Ci rendiamo conto subito, insomma, che lì bisogna lasciarsi andare un po’ al fato senza pretendere di controllare tutto e forse è proprio la comune voglia, ognuna per le proprie ragioni, di sdrammatizzare la realtà, la nostra dotazione più preziosa per visitare quest’isola strana e affascinante. 


Villaggio di Sinarades


Achilleion
Achilleion



Achilleion

















Parco di Mon Répos


























Il micio piccolo Annibale
La micia Moquette





Mici in un interno di villaggio adescano i passanti notturni








Prima della colazione, alla base


Anche loro alla base, prima della colazione





Ancora gioco dello specchio