Non riesco più a scriverne o almeno non ci sono riuscita ieri: proprio ieri
che era il 25 novembre, giorno nel quale dovremmo parlare della violenza su noi donne. Forse ne ho scritto troppo, urlando la mia
rabbia a ogni nuovo fatto di cronaca, a ogni nuovo spargimento di sangue. L'ho fatto ricordando sempre che esiste anche una violenza subdola, non di rado mascherata da amore, che irradia il suo veleno mortifero in
parallelo a quella fisica delle botte, dei delitti e del sangue.
J. Collier, Lady Godiva, 1898 |
Dovrei parlare di me. Tutte quante dovremmo
farlo, quelle di noi che sono considerate - non so dire se a torto o a ragione - donne indipendenti e forti. Dovrei dire come proprio tali caratteristiche generino a
volte paura, negli uomini: di essere criticati, giudicati o persino coartati
nella propria libertà. Strano paradosso, questo, perché il ricatto affettivo, il mostrarsi troppo richiestive,
sospettose, ossessionate da idee di gelosia e desiderio di controllo è prerogativa di chi si sente debole e dipendente.
Dovrei dire, in circostanze come il 25 novembre (e sarei in tempo ancora oggi), della solitudine legata all'essere percepita come una donna forte, ma non voglio; per qualche motivo che nemmeno io capisco bene non mi va.
I. Kramskoy, Ragazza con il gatto, 1882 |
Così, cerco qualcosa che ho scritto
in passato, qualcosa che mi riguardi fino a un certo punto e parli, più che
altro, della violenza subita da altre, delle botte alle quali non hanno potuto sottrarsi, delle ingiurie e delle urla, fino alla morte e al sangue. Come il film-documentario che ho visto ieri sera.
Eccole, allora, le parole già scritte sulla violenza che riguarda altre
donne. Prendo al volo le prime che trovo, cercando a caso nelle mie vecchie note di
facebook. Ce ne sono tante, sul tema, e non ho che l’imbarazzo della scelta…Queste, per esempio, sono di quasi due anni fa e vanno ancora bene.
6 marzo 2012. Ha da essere muta, credula
adorante.
Delitti assurdi, ma non, come li definiscono i giornali, di semplice gelosia
o passionali: si tratta di qualcosa di meno complesso del gesto di Otello.
Si tratta di mettere in riga quelle che osano troppo e questo
"troppo" può essere anche solo ricevere un sms sospetto. Si tratta,
altre volte, di mettere in riga quelle che pensano, che si permettono di
criticare, di chiedere conto, di discutere un punto di vista. E in questo caso non sempre le si uccide con la pistola o con il coltello,
ma invariabilmente si tenta di farlo dal punto di vista psicologico. Non
neghiamolo, non nascondiamoci: l'Italia detiene il tragico primato europeo
della violenza sulle donne e del femminicidio perché ha un problema culturale
specifico che si irradia ovunque, anche dove la violenza, apparentemente, non
c'è, anche nei luoghi della cultura e trasversalmente a tutte le classi
sociali. La donna in questo paese ha da essere muta. Ha da essere una velina
miagolante o una scolaretta adorante e dipendente alla quale si scrive il
copione dei pensieri e delle interpretazioni.
Muta, deve stare, o parlare solo il linguaggio dell'emotività , dell'enfasi
amorosa e del "sono come tu mi vuoi".
J. W. Waterhouse, Lamia, 1905 |
Altro che coppia affiatata, come dicono
sempre i vicini, dopo ogni delitto! La violenza più pericolosa è quella mielata che permette il
propagarsi di quell'altra dei delitti e del sangue che fa notizia e rispetto
alla quale tutti, uomini e donne, inorridiscono. Ma fermiamoci un po' a pensare
e uomini, guardatevi dentro! E donne, guardiamoci dentro! Siamo sempre pronte,
anche noi, nel nostro piccolo universo di dinamiche consumate, trite e
ordinariamente banali, a schierarci dalla parte dell'egocentrismo e della paura
di lui mettendoci contro l'altra: la madre rispetto alla compagna del figlio, la moglie,
rispetto alla suocera, l'una rispetto all'altra, la rivale, quella che c'era
prima o quella che viene dopo, per contendersi i favori di un uomo spesso
piccolo; piccolo e impaurito. E in questa cornice angusta di esistenza nessuno, nemmeno lui, alla fine, può essere felice.