mercoledì 28 maggio 2014

La gatta Margot, prima e dopo.

Con la connessione ballerina documento le reazioni feline al trasloco. Ulisse è ancora in sciopero. Margot, invece, sta feromonizzando l'ambiente. E' una manovra inutile perché si struscia agli scatoloni che una volta vuoti saranno restituiti alla ditta...

Ultima sera nella vecchia casa. In fondo al mio letto,
perplessa, getta ombre sugli scatoloni.

Stamani, dopo la prima notte nella nuova casa. Curiosa.

"Vieni a vedere, Ulisse! Dai, vieni!". 
Macché. I maschi sono più conservatori, anche tra i gatti.

"Il divano è lo stesso, però. Ora verifico."
"OK, forse si può fare."
"I libri, anche se restano nella scatole, per me è lo stesso.
Ma è la cucina che mi preoccupa!"
"Che faccio, provo a dormire?"



mercoledì 21 maggio 2014

Il baciatoio

Il bacio immortalato da Robert Doisneau nel 1950.
Da diversi anni è appeso anche nel mio studio.
A me le stazioni sono sempre piaciute: i treni, il gioco di fili nel cielo, le rotaie e persino gli annunci; quando non erano robotizzati come ora, s'intende.
Il parcheggio in piazza Stazione è carissimo e sempre pieno. Perciò chi parte o chi arriva viene per lo più salutato proprio lì e non più al binario, come un tempo e come nei film.

Nei tre mesi e mezzo dei lavori di ristrutturazione ho capito che questa piazza è praticamente un BACIATOIO, ragion per cui mi piace l’idea di andarci a vivere a breve.

Antonio Ambrogio Alciati, Il bacio, 1918
Mi piace, insomma, pensare che sotto casa mia si sono consumati e si consumano vari tipi di bacio: struggente, vorace, malinconico, consueto e quotidiano, timido, sfacciato, improvvisato, studiato, breve ed effimero, intenso, lungo e appassionato… Chissà chi l’ha inventato, il bacio, quello con la B maiuscola!
Ma fra tutti i baci famosi amo di più
quello di "Colazione da Tiffany".
(Non solo perché il gatto ha una parte importante...)

E infatti ho reso omaggio (gennaio 2012)

domenica 18 maggio 2014

Morire giù, giù, dove si sente battere il cuore della terra

Resti della Miniera di Caporciano (Montecatini Val di Cecina)
Come molti, ma forse più di tanti altri, sono rimasta particolarmente colpita dalla morte - qui il link - dei 301 minatori turchi, tra i quali anche un ragazzino di quindici anni.  Forse perché sono cresciuta in un piccolo paese la cui storia è strettamente legata a quella di una miniera di origini etrusche. Inattiva dagli inizi del 1900, la Miniera di Caporciano era stata, nel secolo precedente, la maggiore miniera di rame dell’Europa.

Resti della Miniera di Caporciano
A scuola studiavamo la storia del nostro paese insieme a quella della miniera e poi, volendo, potevamo approfondire e leggere altre notizie; per esempio delle lotte dell’epoca di esordio del socialismo, dei licenziamenti, delle condizioni di vita dei minatori. Mio nonno ne aveva raccolte moltissime in un suo quaderno e dunque avevo una fonte scritta e orale a portata di mano.

Montecatini Val di Cecina, a un km di distanza
dalla Miniera di Caporciano - novembre 2011
Oggi, dove un tempo era attiva la miniera, è presente un Museo di cui metto qui  il link.


Resti della Miniera di Caporciano
Per noi bambini l’ingresso del pozzo Alfredo, che credo fosse quello principale, la chiesina di Santa Barbara, considerata la protettrice dei minatori, la lontana e antichissima diga, detta del muraglione, il vecchio ingresso della miniera e altri resti erano lo scenario di molte fantasie, fiabesche o di paura, e di altrettanti giochi.

La guardiola della miniera
Era uno scenario affascinante perché comprendeva alcune zone proibite, ritenute pericolose. La miniera, infatti, si inoltrava giù, giù, chissà dove nelle viscere della terra; e sapevamo anche della cappella dei minatori a più di 100 metri di profondità, nel cuore della roccia. Io me li immaginavo, quegli uomini, mentre scendevano e si fermavano a gettare uno sguardo su un'immagine di donna appesa alla roccia e pensavano a quelle che li aspettavano sopra il suolo, che lavavano i panni nel lavatoio collettivo situato altrove, nel paese, e parlavano e cucinavano e anche loro lavorano sodo, ma scaldate, almeno, dalla luce dal sole. 
Noi bambini, naturalmente, giocavamo volentieri proprio attorno a dove era proibito entrare, e, dunque, anche avvicinarsi. All'epoca c'erano recinti di filo spinato che sembravano sfidarci e invogliavano a  creare pertugi.

Resti della Miniera di Caporciano
Mi sono poi nutrita, negli anni della prima adolescenza, di molti romanzi che raccontavano storie di miniera, credo per dare un volto e una voce ai personaggi sui quali da piccola avevo fantasticato.

La chiesina di Santa Barbara
Quel potere essere inghiottiti, ancora vivi, proprio là dove l’immaginario colloca gli inferni, mi dava il senso dell’ingiustizia del mondo. Da bambina ne ero meno consapevole di come lo sarei stata dopo, dal punto di vista razionale, ma lo ero già del tutto dal punto di vista emotivo, come, penso, tutti i miei compagni di giochi.


Percepivamo, in qualche strano modo, senza saperle e senza poterle raccontare, le sofferenze, le angosce, la fatica e le speranze di chi, giorno dopo giorno, rinunciando alla luce, aveva consumato la vita nel ventre della terra scura.



I luoghi conservano una memoria che non si può tradurre del tutto in parole, ma, per chi è disposto ad ascoltare si trasmuta in sensazioni di carne: in brividi di paura e vertigini che si ibridano con il batticuore della curiosità. Quei muri di pietra diroccati e quelle ruote giganti e arrugginite che si intravedevano, al di là delle grate di ferro, attiravano molto la nostra attenzione di bambini. Perché da piccoli si è ancora sensibili alla voce di ciò che non ha voce; alberi, rocce, vecchie mura scaldate nel tempo da mille soli: testimoni, spesso, proprio delle vergogne umane.


“In fondo alla loro galleria da talpe, sotto il peso della terra, i minatori, senza più fiato nei petti in arsura, picconavano, picconavano sempre.” (Émile Zola, Germinal). 


sabato 10 maggio 2014

Ombre nel corridoio condominiale.


Le cassette della posta condominiali (del non ancora).
Ci sono due settimane e mezzo di tempo che sembrano brevissime e infinite prima del trasloco. In questo momento di interregno non so dove pensarmi, come immaginare il futuro. Qui da dove ora scrivo, nel divano di sempre, con il portatile sulle gambe e i gatti vicini, non sarò più; e là è il dominio del non ancora.


Ulisse dormiente nello sfondo del qui e ora.
Da tre mesi, ormai, porto me stessa, diligentemente, nella casa-cantiere; lo faccio tutti i giorni e più di una volta, quando serve, per visionare lavori di cui non m’intendo. Mi guardo attorno, mi muovo cercando di immaginare il posto delle pentole o quello dei biscotti e intanto accendo e spengo senza motivo, solo per allenarmi, gli interruttori appena collocati. Non sto mai ferma, in effetti, tra quelle mura che sanno di tinteggiatura recente. Indugio sempre un po', invece, se non incrocio nessuno, nel corridoio da basso, quello che divide il dentro, abbastanza ben messo, del palazzo, dal famigerato fuori del quartiere che fra non molto sarà il mio.

Pianta condominiale del poi (una di due) e sua ombra
più l'ombra di Io-me che fotografo le ombre
In quel "fuori", sulla destra, si raccolgono un po’ di disgraziati della terra; nerovestiti, con la sigaretta appesa tra le labbra e le dita gialle di nicotina, sono difesi, come da una barriera invisibile, dall’alone dell’alcool che crea una sinuosa scia olfattiva tutto attorno a loro. Stanno lì, attratti dal minimarket con prodotti a basso prezzo, finché c’è il sole. Poi svaniscono non si sa dove quando il negozio chiude, seguiti, talvolta, da quei loro cani grandi e pigri, con il pelo quasi arruffato e l’aria, però, incredibilmente soddisfatta. Intanto, sopra, al terzo piano nel quale abiterò fra poco, ci sono i colori nuovi e gioiosi che ho scelto per alternarli al bianco avorio di molte pareti. Sopra i colori della voglia di vivere e stare bene e l'azzurro di un cielo che sembra quasi a portata di mano; sotto, a pochissima distanza e in crudele contrasto, il nero, i diversi toni del grigio e la messa in scena della morte di ogni speranza.
- Sei matta a scegliere quella piazza? 
Rispondo che a me, invece, piace vedere l’orologio della stazione dalle finestre della sala e dalla soglia della cucina. Quando abiterò lì potrò calcolare con quello il tempo della cottura della pasta. Ed ecco che pensando questo piccolo gesto quotidiano riesco a  immaginarmi tra le cose consuete e i miei due gatti che mi si strusciano ai polpacci e rischiano di farmi cadere attraversandomi il cammino. Chissà come sarà.
Ombra di portone e ombra di pianta 
condominiale (una di due) del non ancora.
Solo del corridoio in fondo alle scale posso essere sicura; lì in basso sarà così come è ora e questa è l’unica certezza fisica del mio futuro tornare a casa la sera.


Riassunto delle ombre nel corridoio condominiale del poi
Le due piante dell’ingresso condominiale ricamano ombre strane nel muro, tra quella del primo portone e quella del secondo, e nell'insieme sembra quasi che ci sia una tenda. Ed è un po’ come nella caverna famosa del filosofo, che non hai mai la certezza di quale sia la realtà più affidabile.


mercoledì 7 maggio 2014

Era il 7 di maggio


Callistemon, Pisa, Piazza Dante, maggio 2014

Oggi è il 7 di maggio, anniversario della morte di Franco Serantini e io penso  a lui e a tutte le morti innocenti sui diversi campi di battaglia. Penso al senso profondo di togliere vita, giovinezza e ideali e la possibilità di poter godere ancora delle cose belle: piccole cose, non l’esibizione di ricchezze o di status.


Questi fiori rossi li dedico alla sua memoria. Ci passo tutti i giorni, davanti a questa fioritura, e guardarla mi fa provare una piccola grande gioia e la gratitudine per l’essere viva. Penso a quando, da bambine, ci si adornava di fiori e foglie per giocare  a principesse, a fate, a piratesse.


Con le foglie di castagno, legate usando certi steccolini sottili, ci si facevano gonne e anche diademi da adornare con fiori piccoli di campo. Con la parietaria e le sue foglioline fitte, color verde antico, ci si ricamavano gli abiti, ma anche le braccia o le gambe. Questi fiori rossi e orgogliosi non c’erano al mio paese, perciò non li conoscevo, da bambina. Chissà che pennacchi da Cleopatra ci saremmo fatte, oppure da ballerine di Can-can, in piena Belle époque! E’ ingiusta la morte, specialmente quella giovane, in guerra, di qualsiasi tipo di guerra si tratti.